«Volevo fare la rivoluzione attraverso la musica», queste le parole di Militant A, all’anagrafe Luca Mascini, anima e voce degli Assalti Frontali, il gruppo che dal primo album del ’92 continua a calcare palchi di concerti, manifestazioni di piazza e laboratori didattici in tutta Italia. Già anni prima, a nome Onda Rossa Posse avevano rappresentato la punta più evoluta del rap militante e antagonista cantato in italiano. Le sue parole riassumono lo spirito della crew ed emergono con forza nel documentario Una vita all’assalto, diretto da Paolo Fazzini e Francesco Principini, prodotto dai Manetti bros., che ripercorre la storia biografica e artistica del gruppo, esplorando i temi che ne hanno caratterizzato musica e stile: la critica sociale, la lotta per i diritti, la ricerca di un’identità collettiva.

Quella storia ha inizio nella metà degli anni Ottanta, tra le frequenze di Radio Onda Rossa e l’attivismo dei centri sociali. Militant A e Castro X sono due giovani romani appassionati di musica rap e conducono un programma radio, Funk Theology, dedicato a questo nuovo genere musicale ancora agli albori in Italia. Il rap, con la sua carica di denuncia sociale e il suo stile aggressivo, rappresentava per loro una vera e propria rivoluzione espressiva, qualcosa di necessario nel panorama giovanile di quegli anni. Tuttavia, l’utilizzo dell’inglese in quei brani creava una barriera invalicabile per la maggior parte del pubblico italiano.

 

Proprio da quell’impellente bisogno di comunicare le potenzialità del rap, di farlo conoscere e di smuovere le coscienze, scaturì l’esigenza di trovare una nuova voce, un nuovo linguaggio per renderlo più accessibile. In quel momento, Militant A e Castro X iniziarono a scrivere i primi testi rap in italiano. Le loro rime, inizialmente acerbe, erano però intrise di autenticità e immediatezza e di tutta l’urgenza espressiva di quel nuovo medium.

ARMA DI DENUNCIA
Quelle sperimentazioni linguistiche non erano solo un esercizio di stile, ma rappresentavano un atto di ribellione contro il conformismo e l’immobilismo degli anni Ottanta. Il rap nelle intenzioni dei due ragazzi poteva diventare una potente arma di denuncia sociale, uno strumento per dare voce a chi non ne aveva e smascherare le storture del sistema. Le liriche esplicite e dirette intendevano rappresentare le istanze di una generazione disillusa dalla situazione politica e culturale dell’Italia di quegli anni.

Il 1990 segnò un anno cruciale per la storia del rap in Italia. Con Batti il tuo tempo (primo disco hip hop in italiano), il mini album di Onda Rossa Posse, il genere arrivò per la prima volta sul palco di una manifestazione nazionale, conquistando finalmente il suo posto come linguaggio di una generazione che si muoveva tra università occupate, centri sociali e spazi autogestiti, luoghi dove quella cultura underground poteva infondere un nuovo spirito di rivolta da portare nelle strade, nelle piazze, ovunque si volesse alzare la voce contro ingiustizie e discriminazioni. «Batti il tuo tempo per fottere il potere!» come recitava il ritornello, diventò un inno prima della Pantera e poi di un movimento generazionale. Come si sottolinea nel documentario, il rap di quegli anni rappresentava «una scossa sismica» che scuoteva alle fondamenta la società italiana, mettendone in evidenza le crepe.

L’esperienza Onda Rossa Posse si dissolse dopo breve tempo dando vita a due gruppi, da un lato gli AK47, dall’altro gli Assalti Frontali. Per Luca «la scelta del nome Assalti Frontali era una dichiarazione d’intenti». In quegli anni, infatti il rap ridiede voce a un movimento politico che non sembrava più avere punti di riferimento e che cercava nuovi modi per esprimere il proprio dissenso, «era come se per la generazione post-anni Settanta – prosegue Militant A – le parole del cambiamento fossero finite, eravamo alla ricerca di qualcosa che potesse rappresentarci». Il gruppo intendeva trovare quella nuova sintassi e porsi come la voce di una generazione che non temeva lo scontro con le istituzioni e che lottava per ottenere dei cambiamenti.

CIRCUITO INDIPENDENTE
In quegli anni, l’idea di un circuito indipendente e autosufficiente rappresentava una scelta di rottura radicale con il sistema discografico tradizionale e le sue logiche commerciali. Rifiutando qualsiasi contatto con le major, gli Assalti Frontali decisero di intraprendere un percorso di autoproduzione. Con la creazione dello studio di registrazione Musica Forte all’interno del Forte Prenestino, diedero vita a un baluardo di autonomia e sperimentazione. Proprio dentro quello studio venne inciso l’album Conflitto, prodotto dall’americano Don Zientara, che rappresentava un nuovo capitolo nella loro carriera. La musica si arricchiva di nuove sonorità, mantenendo però intatta la carica politica del loro messaggio.

Un incontro determinante per gli Assalti Frontali fu quello con il produttore Ice One, collaborazione che diede vita all’album Banditi. La sua abilità nella produzione musicale si amalgamava perfettamente con la carica emotiva e l’incisività dei testi di Militant A. Quel sodalizio artistico sfociò nella realizzazione di una trilogia di videoclip diretti dai Manetti bros. – Banditi, Va tutto bene e Zero tolleranza – dove denuncia sociale e innovazione artistica si intrecciavano magistralmente.

Banditi uscì per una major, la Bmg, una scelta che non mancò di generare dibattito e critiche. Lontano dal tradire i propri ideali, il gruppo romano abbracciò una nuova fase di riflessione critica e di adattamento al mutare del panorama musicale. Consapevoli dei limiti del circuito indipendente, gli Assalti Frontali stavano cogliendo l’opportunità di ampliare la propria base, rendendo il loro messaggio accessibile a un pubblico più ampio e diversificato. Banditi non rappresentava una resa, ma un’evoluzione consapevole che non snaturava la loro identità.

L’arrivo di Bonnot come produttore del gruppo segnò l’ingresso degli Assalti Frontali nel nuovo millennio. Con la maturità acquisita negli anni, il gruppo si aprì a nuove sonorità e a collaborazioni con artisti di diverse nazioni e generazioni. Dopo la paternità e l’incontro con Simonetta Salacone, educatrice e preside di una scuola primaria di Roma, Militant A intraprende una nuova fase della sua vita artistica. Il suo rap si apre a nuove tematiche, con l’obiettivo di sensibilizzare le nuove generazioni, anche le più giovani. I suoi libri, così come i laboratori hip hop nelle scuole, il primo dei quali realizzato mettendo in rima la Costituzione Italiana, rappresentano un esempio tangibile di una filosofia di vita, così come di un impegno politico e sociale.

Il documentario si distingue per la meticolosa ricerca di materiali d’archivio, vere e proprie rarità che ci proiettano nel passato, facendoci rivivere le prime esperienze di Radio Onda Rossa, i primissimi concerti e i momenti di vita quotidiana del gruppo, oltre al suo percorso di crescita individuale e collettiva. Questi fotogrammi non rappresentano un mero sguardo al passato, bensì un ponte che collega la storia degli Assalti Frontali con il loro presente.

Attraverso la sapiente giustapposizione di sequenze storiche e filmati recenti, il documentario sottolinea la continuità del loro messaggio e la loro capacità di rinnovamento per continuare a dialogare con le nuove generazioni. Alla fine, ripercorrendo la storia di Militant A e di Assalti Frontali, Una vita all’assalto va oltre l’omaggio artistico, configurandosi anche come un affresco di 40 anni di storia italiana.

Il documentario – come detto prodotto e distribuito da Mompracem dei Manetti bros. e Pier Giorgio Bellocchio (primo titolo distribuito da Mompracem nelle sale) – è stato presentato in anteprima al Biografilm di Bologna aggiudicandosi l’Audience Award/Biografilm Art & Music 2024, premio del pubblico per il miglior film di Art & Music. Sarà in programmazione fino al 26 giugno al Cinema Aquila di Roma (stasera i registi e Militant A incontreranno il pubblico all’inizio dello spettacolo delle 19). Poi inizia il tour nelle sale italiane durante l’estate.