Cultura

Il mondo a venire, tra pratiche di liberazione e utopia

Il mondo a venire, tra pratiche di liberazione e utopiaNicoletta Vallorani

NARRATIVA A proposito di «Noi siamo campo di battaglia», un romanzo di Nicoletta Vallorani

Pubblicato più di un anno faEdizione del 20 giugno 2023

Provate a immaginare un cocktail visionario mescolando la sospensione tra sogno e realtà di Notizie da nessun luogo di William Morris, i paesaggi visionari della periferia metropolitana di Dodes’ka-den di Akira Kurosawa, i due mondi di I reietti dell’altro pianeta di Ursula Le Guin, le comunità del compost di Chtulucene di Donna Haraway, i falansteri desideranti di Charles Fourier. E magari ripensate al pathos con cui Oscar Wilde, in De profundis, descrive, durante la detenzione in carcere, il vecchio anarchico Petr Kropotkin come un Cristo dalla barba bianca. Dentro questo climax pensate una metropoli in rovina, distrutta da ondate e ondate di disastri pandemici – virali e psichici – e ambientali, gestita da un potere che si avvia verso l’autodistruzione, mentre alcuni studenti creano con la loro ex professoressa una comune clandestina che evolve attraverso nuove pratiche di sensibilità e una sorta di trance collettiva, dove la comune accede a versioni parallele di come il mondo potrebbe essere. Ecco, avete un’idea del paesaggio narrativo di Noi siamo campo di battaglia di Nicoletta Vallorani (Edizioni Zona 42, pp. 318, euro 15,90). È un romanzo di fantascienza? La sospensione spazio-temporale lo lascerebbe supporre. Ma si può leggere come un romanzo di evidente realismo se pensiamo a ciò che abbiamo vissuto negli ultimi anni e ciò che stiamo vivendo. Virus, clima/ecologia, storia, psiche individuale e collettiva (quindi politica), tutto viene rimesso in discussione.

CI SONO LE FESSURE del potere: «il passato torna strisciando nelle fessure del controllo. Quali fessure? Ci sono, ci sono sempre». E ci sono le brecce della resistenza e della liberazione, le soglie da attraversare, per mondi paralleli dove vivere liberi e preparare le rivolte. Imparare a essere impercettibili: «Di mestiere faccio la linea di confine. Mi oltrepassi e sei in un altro mondo», «non si torna normali, babbei. Non si torna normali negli intervalli tra un’onda e un’altra», perché in fondo «la biologia non è un teorema e il sesso è una scelta. Anche la vita che vuoi fare, e pazienza se ti porta in un posto che non è né oriente né occidente. L’appartenenza è solubile. Non ti ci puoi aggrappare perché alla prima pioggia si scioglie Quando si scioglie scopri che forse puoi fare senza». «Noi siamo quelli destinati a preparare un mondo che non vedremo. Ci avete sacrificati pensando di amarci. Ora fertilizziamo il futuro». Siamo compost, abitiamo le humusità, non le umanità. Compost è il mondeggiare, il farsi comune del mondo. Le Comunità del Compost sono aperte e ospitali, coltivano parentele queer, realizzano il Comune. Compost è il contrario di accumulazione, scrive Donna Haraway in Chthulucene (Nero) e i protagonisti «polifonici» di Vallorani ne sono ben consapevoli. Scelgono la congiunzione, la relazione, le storie che ricreano il mondo raccontandolo, sia con le parole sia riproducendo sui muri i capolavori dell’arte modificandoli: la Gioconda vestita da geisha e con il sorriso cucito, L’Annunciata di Palermo col velo azzurro e il telefonino, Los fusilamientos con colombe che si levano dai fucili, un toro di Picasso inginocchiato sulle zampe davanti, quasi a chiedere perdono di essersi reso responsabile, come Zeus, di tanti stupri.

È UN ROMANZO DOLCE, duro, visionario e «cinematografico» che merita di essere tradotto sullo schermo. Fredric Jameson termina Il desiderio chiamato utopia (Feltrinelli), magnifica ricognizione tra letteratura fantascientifica e riflessione filosofica, con una citazione tratta da Sul Filo del Tempo (Elèuthera) di Marge Piercy: «Noi dobbiamo combattere per sopravvivere, per continuare a esistere, per essere il futuro che verrà. Ecco perché ti abbiamo raggiunto». Ci raggiungeranno per lo stesso motivo anche i ragazzi del compost di Noi siamo campo di battaglia.

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