Milano è la città delle mille occasioni. Più una, mancata. Così la Camera del lavoro metropolitana ha fotografato la situazione del mercato lavorativo dell’area metropolitana, dati alla mano. Quella che i numeri descrivono è una condizione occupazionale instabile, che non ha visto una crescita qualitativa e quantitativa dopo la pandemia.

Antonio Verona, responsabile del mercato del lavoro della Cgil milanese, usa Renzo Tramaglino come esempio nella sua presentazione. Il protagonista dei Promessi Sposi, alla fine della sua vicenda, qualche miglioramento lo ha anche avuto, ma il capolavoro manzoniano non ha un lieto fine, perché a livello generale, mutatis mutandis, tutto resta come prima. Così come il mercato del lavoro milanese, quattro anni dopo la pandemia. «Ce lo dicevamo che la pandemia sarebbe potuta essere l’occasione per cambiare la situazione – dice Verona – e lo scrivevamo pure sulle lenzuola, appese ai balconi: andrà tutto bene, ne usciremo migliori. Bene, siamo nella stessa condizione». Che poi i numeri, letti superficialmente, direbbero anche bene: l’occupazione aumenta, diminuisce la disoccupazione. Ma, come sempre accade, c’è un ma. Perché se si va a vedere più in profondità, dei circa un milione e mezzo di occupati nell’area metropolitana milanese circa un terzo fa fatica ad arrivare a fine mese. Tra questi, tanto per cambiare, sono le donne a farne di più le spese. Ancora, il dato tendenziale degli avviamenti al lavoro non presenta incrementi o variazioni significative, mentre contestualmente i dati sulla cassa integrazione registrano un aumento e, cosa ben più importante, sono nella maggioranza dei casi causati da riorganizzazioni o crisi aziendali. Insomma, non va bene.

Per il resto, i dati consegnano un territorio dove il nord dell’area metropolitana mantiene un suo saldo ruolo nella presenza di attività industriali, mentre le due zone estreme, a ovest e a est, segnalano un notevole incremento dell’attività di logistica. Che, come spesso accade, porta con sé uno strascico di lavoro precario e un grande sfruttamento del suolo, tra il fiorire di capannoni in aree prima verdi e il proliferare di infrastrutture viarie, anche in questo caso al posto di prati e aree coltivate, per permettere lo spostamento veloce delle merci.
Una novità, almeno una, c’è. Ed è che (Antonio Verona, uomo dei numeri nella Cgil di Milano da decenni lo dice sorpreso) per la prima volta a determinare il mercato del lavoro non è la domanda (ossia il bisogno delle aziende di determinate figure professionali) ma l’offerta. Questo è dovuto alle giovani leve lavorative, non più disposte ad accettare un lavoro a qualsiasi stipendio, a qualsiasi orario, insomma a qualsiasi condizione.

Ma è una rivendicazione individuale, singola. Che non mette in moto nessun processo di opposizione collettiva. Così alla fine, tutto resta così com’era. E il modello Milano, tanto decantato quanto criticato, ripete continuamente sé stesso.