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Il mistero della nota variabile

Il mistero della nota variabile«No Woman, No Cry», 45 giri di Bob Marley & The Wailers, stampa tedesca del 1975

Storie/L’evoluzione della canzone nel corso degli ultimi due secoli Come la musica tradizionale ha lasciato spazio a nuove forme sonore. Si impongono jazz, blues, rock’n’roll e altri generi. Da «’O sole mio» a «No Woman, No Cry»

Pubblicato più di un anno faEdizione del 24 giugno 2023

Si può parlare di canzone moderna già da fine Ottocento, quando il folklore diventa un prodotto organizzato in forme autoriali, grazie a un’industria dello spettacolo in grado di imporre fenomeni locali a livello planetario. Sono le cosiddette musiche urbane, per l’ascolto e per il ballo, per via della nascente tecnologia discografica, a imporre nuovi gusti e inediti scenari sul piano dello svago, dell’arte, del comportamento, della cultura anche politica e sociale. Fino agli anni Settanta del secolo scorso il predominio statunitense e poi angloamericano è relativo: già accanto a stili come il dixieland, lo swing, le classiche song, il boogie, il rock and roll, il soul, il beat, magari per brevi periodi, coesistono altre modalità di forma-canzone, in diversi paesi, a partire dalla melodia napoletana del primissimo Novecento, di cui ’O sole mio nella versione a 78 giri del tenore Enrico Caruso resta a lungo il disco più venduto nella storia, superando il milione di copie: non è forse un caso che il successo verrà bissato nella versione soft rock di Presley (It’s Now or Never). All’inizio del XX secolo, inoltre, assai più del jazz, prevale nei gusti di massa il tango argentino, non solo quale ballo lascivo e peccaminoso (dunque oggetto di censura da parte dei reazionari), ma anche quale tango-canción – insuperabili Volvér o A media luz interpretate da Carlos Gardel – idealmente proseguita dalla classicizzazione operata, circa mezzo secolo dopo, da Astor Piazzolla le cui Adios nonino, Libertango, Oblivion divengono autentici tormentoni.

IN EUROPA
Il Vecchio Continente, pronto a recepire le tendenze d’oltreoceano, è altresì un vulcano di idee: nazioni artisticamente evolute come Francia e Germania offrono una canzone moderna che si lega alle esperienze teatrali rispettivamente vicine alle tradizioni del valzer-musette nel primo caso, relazionabili invece al kabarett nel secondo: gli esiti internazionali sono però tardivi o «congelati», se si pensa da un lato a una vocalist straordinaria come Édit Piaf, simbolo delle notti parigine, ma il cui capolavoro Je ne regrette rien risale al 1960, dall’altro all’attività berlinese stroncata dal nazismo: quattro anni prima, la Lola di Marlene Dietrich nel 1929 fa comunque il giro del mondo e la stessa «femme fatale» continuerà negli Stati Uniti a diffondere brani tedeschi anti-hitleriani.
Parlando di musiche urbane, il fado portoghese e il rebetiko greco trovano grande riscontro popolare in loco, già nel primo Novecento, ma in seguito sono malvisti dai regimi dittatoriali autoctoni; solo nella seconda metà del secolo scorso, attraverso fortunati 45 giri da Coimbra di Amalia Rodrigues al Sirtaki (Zorba’s Dance) di Mikis Theodorakis il mondo scopre due forme-canzoni originalissime, che avranno versioni ancor più moderne e sempre maggiore visibilità a partire dagli Eighties con la fine delle dittature e l’ingresso nell’Unione Europea.

LATIN
Dopo il tango, per quanto concerne l’America latina, attorno al 1940, è la volta del Messico con il mariachi , benché l’esempio più illustre – Besame mucho di Consuelo Velasquez – possegga delicate qualità melodiche spagnoleggianti; chi invece pone l’accento sulla marcata etnicità del linguaggio sonoro è il Brasile, con il samba romanticamente cartolinesco di Aquarela do Brasil di Ary Barroso, in seguito emancipatasi nella raffinata bossa nova, resa nota in primis attraverso il cinema con Manha de Carnaval di Luiz Bonfà in Orfeo Negro. In contemporanea – tra gli anni Quaranta e Sessanta – è ancora Parigi a dettar legge in fatto di canzone moderna: chiamati in patria auteurs-compositeurs (e non chansonniers che significa comici) Jacques Brel, Leo Ferré, George Brassens, Charles Aznavour, Gilbert Bécaud (oltre due grandi interpreti quali Juliette Gréco e Yves Montand) con le varie Ne me quitte pas, Paris canaille, Le gorille, La bohème, Et maintenant, influenzeranno moltissimo le successive ondate cantautorali in Italia, Catalogna, America Latina, mentre la Francia, per contrasto, subirà il fascino dello yéyé con Tous les garçons et les filles della giovane e bellissima Françoise Hardy a imporsi quale inno per una sorta di esistenzialismo adolescenziale.

GOLPE E REGGAE
Infine, attorno al 1973 si verificano due eventi destinati a cambiare il corso della canzone moderna: il golpe cileno costringe i pochi musicisti in esilio a politicizzare sempre più la nueva canción latinoamericana a cominciare dagli Inti-Illimani con El pueblo unido, divenuto subito il vessillo acustico di tutti i movimenti protestatari nel mondo; nello stesso periodo arriva a Londra dalla Giamaica un «nuovo rock», il reggae di No Woman No Cry di Bob Marley: la forma-canzone e il Terzo Mondo si fondono in quella che verrà chiamata world music: ma questa è già un’altra storia.

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