Il miracolo di riviste letterarie (e cartacee) che sopravvivono
Express La rubrica delle culture che fa il giro del mondo
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Ogni tanto, una buona notizia: da agosto riprenderà le pubblicazioni la rivista di informazione e critica letteraria Bookforum, chiusa nel dicembre dell’anno scorso da Penske Media Company, la società che l’aveva acquisita pochi giorni prima insieme alla molto più redditizia Artforum.
Se n’era parlato anche qui, perché aveva colpito, negli Stati Uniti e non solo, la spiccia brutalità con cui la nuova proprietà si era sbarazzata di una testata prestigiosa ma ritenuta poco interessante per chi come Peske punta su ambiti più danarosi: l’intrattenimento (fra l’altro la compagnia possiede Billboard, Rolling Stone, Variety e The Hollywood Reporter) e l’arte (Art in America, Artnews e ora appunto Artforum). «La concentrazione dei media sta distruggendo l’ecosfera delle lettere», era stato il commento della scrittrice Lydia Kiesling.
Adesso, però, riferisce sul New York Times Kate Dwyer, a dimostrazione che non tutto è perduto, si è fatta avanti una vecchia e gloriosa testata della sinistra americana, The Nation, il cui presidente, Bhaskar Sunkara ha annunciato nei giorni scorsi il rilancio di Bookforum fra poco più di un mese. Sunkara, che è anche il fondatore di Jacobin, ha spiegato che la nuova Bookforum – a organico invariato rispetto alla versione precedente, e in totale indipendenza da The Nation – cambierà in parte il proprio business model, affiancando alla pubblicità una base molto più ampia di abbonamenti diretti.
Per Sunkara non è vero che le riviste cartacee – e in particolare quelle letterarie di nicchia – non possano essere redditizie: «È una forma di disfattismo affermare che in un paese di 330 milioni di persone – e in un mercato linguistico molto più grande – non si possono trovare abbastanza persone per produrre in modo sostenibile una rivista trimestrale». Almeno in teoria il ragionamento fila, ed è sicuramente vero, come ha detto Michael Miller, direttore di Bookforum, che Bhaskar ha una esperienza solida alle spalle e che a The Nation «sanno come gestire le riviste» se sono ancora vivi e attivi ben più di un secolo dopo la sua fondazione, nel 1865».
Nel sito della rivista l’annuncio del ritorno si affianca a un appello alle lettrici e ai lettori: «Abbonatevi!». Per come vanno le cose in Italia, verrebbe da scuotere la testa, ma sempre nei giorni scorsi un’altra rivista letteraria, questa volta britannica, è riuscita a superare una grave crisi economica proprio grazie all’aiuto immediato e generoso dei lettori – una rivista, oltre tutto, di poesia, vale a dire la nicchia della nicchia. Se poi aggiungiamo che il semestrale, Butcher’s Dog, nato nel 2012, non ha sede a Londra, ma a Newcastle, nel nord-est dell’Inghilterra, il caso sembra appartenere alla sfera dei miracoli. Eppure, quando la direttrice, Jo Clement, ha annunciato su Twitter che la rivista rischiava di chiudere, il prodigio in effetti è avvenuto: «La gente si è mobilitata e in soli cinque giorni, siamo riusciti a vendere abbastanza riviste da coprire i costi di stampa dei due numeri successivi», la scrittrice ha raccontato a Tim Relf del Guardian. «È stato un enorme sollievo».
Inutile, però, farsi illusioni. Per quanto felice, Clement precisa che «la redazione lavora gratis, dedicando migliaia di ore non pagate a questa nostra piccola rivista». E ancora Relf cita Naush Sabah, direttrice del Poetry Birmingham Literary Journal: «Quando si parla di riviste di poesia, non esiste un modello commerciale valido. Semplicemente non è possibile: la maggior parte sopravvive e si regge sul lavoro non retribuito o sui finanziamenti». Non è piacevole dirlo, ma adesso respiriamo aria di casa.
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