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Pd, il miracolo del 16 a 0 senza larghe intese

Pd, il miracolo del 16 a 0 senza larghe intese – Aleandro Biagianti

Democratici Letta: il voto rafforza il governo. Vendola: hai visto un altro film. Si afferma il centrosinistra, ma il Pd già pasticcia sul prossimo congresso. Epifani a Renzi: regole entro un mese. Noi e Sel vinciamo in tutta Italia». Zingaretti esulta e lancia la sua Ppa sul partito. «Ora rottamiamo democraticamente il gruppo dirigente»

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 11 giugno 2013

Il centrosinistra vince, è un 16 a zero clamoroso nelle città al voto, quello di ieri ai ballottaggi, un’indicazione eloquente su qual è l’alleanza di governo che raccoglie la residua fiducia dei cittadini – metà dei quali comunque restano a casa – dopo i giorni neri degli agguati in parlamento sul voto sul presidente della Repubblica, la rottura della coalizione Italia bene comune, il ribaltamento del risultato elettorale nazionale in un’alleanza con il Pdl. Invece Enrico Letta non ha dubbi: il voto delle amministrative «rafforza lo schema del governo di larghe intese».

Eppure i neosindaci dicono tutt’altro. La prima cosa che dice un Ignazio Marino emozionatissimo neoprimocittadino di Roma, per esempio, è l’esatto contrario: «Ha vinto il centrosinistra, si riparte da qui».

E il presidente della regione Lazio Zingaretti, che tanto si è speso per questa vittoria, è anche più esplicito. «Si vince sui territori e si perdono le battaglie nazionali, dobbiamo rifletterci. Nel Pd ci sarà bisogno di una rottamazione democratica che investa la classe dirigente, perché questa giornata dimostra che il Pd quando fa le cose giuste vince. Si chiude una pagina buia, se ne apre una bellissima». Nichi Vendola, leader di Sel e all’opposizione del governo nazionale Pd-Pdl, attacca Letta: «Caro Enrico, non scherziamo, stai guardando un altro film. Oggi vince il centrosinistra alternativo alla destra, altro che larghe intese». Persino il segretario del Pd Epifani non asseconda le certezze del premier: è vero, vincono i candidati «e Marino è un dirigente del Pd, non viene dalla luna», ma anche se il voto nazionale e quello locale sono «distinti» bastava «stare in piazza qui a Roma o in altre città per avere l’idea di un ritrovato orgoglio dei nostri elettori, quasi fosse una rivincita». Una rivincita su cosa, se non sulla scelta delle larghe intese servita dai parlamentari Pd agli elettori?

Governo, il convitato di pietra nel congresso d’inverno

Del resto, se anche se le ricadute delle amministrativo sul governo nazionale sono «imprevedibili» (Epifani), le larghe intese sono il convitato di pietra del congresso dei democratici di autunno. Come organizzare un confronto sull’identità, la natura e il programma del Pd senza mettere in agitazione il governo Letta, che di quell’identità, quella natura e quel programma è (quasi, a sentire i democratici) l’opposto?

Per questo Epifani non ha fretta di convocare il congresso. La commissione dei 19 che decideranno le regole si insedierà in settimana ma lavorerà per un mese; con buana pace di Renzi, che che domenica a Firenze ha lanciato l’ashtag #guglielmofissaladata e ha chiesto la convocazione delle assise non oltre il 7 novembre, cioè la scadenza statutaria. Epifani non si è fatto impressionare.

Ieri mattina, alla riunione della sua prima segreteria, ha affidato gli incarichi ai nuovi componenti e ribadito che il congresso «si terrà entro l’anno»; le regole saranno decise entro un mese. Da queste, e in particolare dalla scelta se i gazebo per l’elezione del segretario saranno «chiusi», ovvero accessibili ai solo iscritti, o «aperti» a tutti gli elettori, Renzi deciderà se candidarsi o meno. Ma il sindaco di Firenze è il briscolone del congresso – se c’è lui, è l’opinione diffusa, non c’è partita per nessuno. Ne discende che fino a luglio tutti i possibili candidati resteranno a bagnomaria. Tranne il giovane Pippo Civati, già da tempo deciso a correre comunque.

Cuperlo e le anime sparse della sinistra interna frantumata

Nel frattempo nel Pd il lavorìo precongressuale è ai massimi storici. I larghintesisti interni (principalmente bersaniani e franceschiniani) preparano il lancio per la leadership del giovane Roberto Speranza. Le sinistre interne invece cominciano a coagulare un’area intorno a Gianni Cuperlo, ’liberamente’ dalemiano e sostenuto anche da quasi tutti i giovani turchi. Ieri mattina, in attesa della chiusura delle urne nelle città, si sono visti in molti (del Laboratorio politico per la sinistra, dell’associazione Lavoro&Welfaredi Damiano, di Politica e Società di Vannino Chiti, dei Cristiano sociali di Lucà e della fondazione Buozzi di Benvenuto).

L’idea, ha spiegato Pietro Folena, è mettere insieme un’area plurale intorno a una mozione per una Costituente delle idee, «un’iniziativa riconoscibile nel congresso» per far rinascere «il Pd come un soggetto popolare, plurale, partecipato, nazionale e parte delle forze del socialismo europeo». Un’area che, con accenti più o meno diplomatici non teme di andare in rotta di collisione con il governo Letta («Prima se ne va, meglio è», dice chiaro Francesco Simoni del Laboratorio). Un’area in cui confluirà il lavoro capillare di confronto con la ’base’ che Fabrizio Barca conduce da mesi. Un’area che naturalmente guarda al candidato Cuperlo, presente al confronto. Cuperlo, che dalla sua ha anche il «vittorioso» Zingaretti, non si è sottratto, pur definendo «sbagliato immaginare che il governo cada da sinistra ma insensato parlare di governo di legislatura», come ha fatto Letta nei giorni scorsi. Il Pd fin qui «ha mantenuto un margine di ambiguità per non introdurre elementi divisivi». Ma ora, Renzi o non Renzi è arrivato «il momento di un congresso costituente, il momento di non temere il confronto politico: rinviarlo non farebbe bene né alla sinistra né al paese».

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