Quando si pensa alle canzoni legate al mondo della boxe un titolo viene subito alla mente. È lo storico Eye of the Tiger firmato dal gruppo americano Survivor. Come tutti sanno però non è un pezzo nato dallo sport, ma dalla rappresentazione cinematografica del pugilato nel film Rocky III del 1982. Il suo legame con lo sport vero e proprio arrivò dopo. Il grandissimo successo del film e della canzone hanno trasformato il brano in un onnipresente «ringwalk anthem», cioè l’accompagnamento musicale ai pugili diretti verso il ring prima di un incontro di cartello. Uno degli atleti che in anni recenti l’ha usata più spesso è il filippino Manny Pacquiao, campione del mondo in 8 categorie diverse. Il mito sportivo e cinematografico di Rocky non si è mai appannato, tanto che l’ottavo sequel della serie, Creed III, uscito questa primavera, è uno dei blockbuster dell’anno e anche al box office italiano ha incassato 7 milioni di euro. Il film non è però purtroppo accompagnato da una colonna sonora epica come i primi episodi della franchise che poterono anche contare sul memorabile commento musicale scritto da Bill Conti alla maniera di una fanfara. La boxe, una sfida tra due uomini spesso con vite complicate che mettono in gioco tutto per una vittoria che tende a rivelarsi elusiva o effimera, è stata un tema che ha ispirato frequentemente gli artisti a scrivere grandi canzoni, alcune calate completamente nella storia personale di veri campioni o nella narrazione di incontri epici realmente avvenuti.

Phil Ochs «Davey Moore»
Il caso del pugile Davey Moore fu uno dei primi a porre il tema della violenza nella boxe. Il peso piuma campione del mondo morì nel marzo 1963, due giorni dopo l’incontro contro il messicano «Sugar» Ramos. Il caso ebbe rilevanza internazionale tanto da suscitare un appello da parte dell’Osservatore Romano. Anche i due cantanti folk più impegnati dell’epoca Phil Ochs e Bob Dylan (in Who killed Davey Moore?) condannarono il cinismo degli organizzatori degli incontri.

Bob Dylan «Hurricane»
«Questa è la storia di Hurricane/L’uomo che le autorità incolparono/Gettato in una cella, ma una volta avrebbe potuto essere/il campione del mondo». A metà degli anni Settanta, Dylan riscoprì la sua rabbia contro il sistema e raccontò in una torrenziale canzone di quasi 9 minuti il dramma del peso medio Rubin Carter, detto «L’Uragano». Arrestato per un triplice omicidio avvenuto nel New Jersey nel 1966, il pugile dovette interrompere una carriera che lo aveva portato con 19 ko a essere a un passo dalla sfida per il titolo mondiale. Le indagini per l’omicidio furono lacunose e basate su supposizioni e pregiudizi. Carter pagò anche una fedina penale non certo immacolata. Dylan sposò la causa innocentista e aiutò a far luce sul caso. Ci vollero però ancora 10 anni perché l’ex peso medio venisse scagionato e rilasciato. La World Boxing Council nel 1993 conferirà al pugile un titolo onorario.

Warren Zevon «Boom Boom Mancini»
Ray Mancini, pugile italoamericano dell’Ohio, si guadagnò il soprannome di «Boom Boom» a suon di ko. Chiuderà la carriera mandando al tappeto 23 dei suoi 34 avversari. La canzone di Zevon ne ripercorre, strofa per strofa, la leggendaria parabola, non tacendone il momento più drammatico, la sfida in difesa del titolo contro il coreano Dook Koo Kim del 1982. L’incontro si protrasse per 14 crudeli riprese in cui lo sfidante venne travolto da una tempesta di pugni senza mai cedere. All’ennesimo assalto, stremato, crollò poi al tappeto. Si rialzò, ma svenne e morì 4 giorni dopo. A tragedia si sommò tragedia. Sia la madre del pugile coreano che l’arbitro dell’incontro si tolsero la vita. Canta Zevon: «Quando gli chiesero chi era colpevole per la morte di Koo Kim/rispose: ‘qualcun altro doveva fermare l’incontro’/fecero commenti ipocriti/ma la regola del gioco è essere colpiti e colpire».

Freakwater «The Louisville Lip»
Muhammad Ali nacque e crebbe a Louisville in Kentucky. È la città di origine di questo gruppo di alt country che ricorda l’illustre concittadino per la sfida al sistema razzista: Ali, ai tempi ancora Cassius Clay, gettò, per protesta contro un ristorante che aveva rifiutato di servirlo perché nero, la medaglia d’oro vinta alle Olimpiadi di Roma nelle acque del fiume Ohio che bagna la città. Il titolo fa riferimento a un soprannome con cui era preso in giro Ali.

Sun Kil Moon «Salvador Sanchez»
La boxe è uno degli sport preferiti da Mark Kozelek, leader della band folk rock di San Francisco. Il nome del gruppo è ispirato a un pugile coreano e il loro lp di debutto Ghosts of the Great Highway è scandito da storie tragiche di pugili. Tra esse una lunga, dolente ballad dedicata a Duk Koo Kim. Salvador Sanchez è invece la storia di un boxeur messicano dei pesi piuma diventato campione del mondo a soli 21 anni e morto poco dopo in un incidente stradale.

Mark Knopfler «Song for Sonny Liston»
L’immagine di Sonny Liston che tutti ricordano è quella di una fotografia in cui lui è al tappeto davanti a un furioso Muhammad Ali che sembra ruggire per festeggiare la vittoria e umiliarlo. È lo storico incontro del 1965 con cui Ali si confermò campione del mondo sullo stesso Liston che aveva già battuto qualche mese prima. Ma la storia di Liston è tragica e emblematica tanto da essere la più raccontata in ambito musicale. Knopfler ricorda le sue umilissime origini, i suoi pugni come dinamite, la sua aggressività, ma anche la necessità di combattere per avere soldi e le sue frequentazioni che lo spinsero con tutta probabilità ad accordarsi per perdere le sfide con il grande Ali. Il cantante non dimentica la sua tragica e misteriosa morte per sospetta overdose avvenuta nel 1970: «C’era droga nelle sue vene e una pistola nel cassetto/Una sola investigazione/Odiava gli aghi ma sapeva troppo». Tra gli altri artisti che hanno ricordato il tormentato pugile nelle loro canzoni Phil Ochs, Chuck Prophet, Tom Petty e Nick Cave.

Bruce Springsteen «The Hitter»
In una canzone con un testo che riprende l’America di Steinbeck, Springsteen non ci racconta la storia di un campione ma di un pugile girovago, diventato con il tempo un fenomeno da baraccone per incontri illegali. La canzone cita tra le sfide passate del protagonista un pugile realmente esistito, Jack Thompson, il primo afroamericano a vincere il titolo mondiale dei pesi welter nel 1930.

The Killers «Tyson vs Douglas»
L’11 febbraio 1990, il peso massimo più famoso del mondo e campione imbattuto, Mike Tyson, sfidò a Tokyo James Douglas in un match in cui difendeva il titolo. L’esito era quasi scontato. Tyson veniva da 37 vittorie senza sconfitte di cui 33 per ko. Aveva messo al tappeto leggende come Larry Holmes e Michael Spinks, e campioni come Frank Bruno. Douglas, detto «Buster», era poco più di una formalità. All’ottavo round sembrava tutto risolto: Tyson stese con un uppercut l’avversario. Ma quasi alla fine del conteggio lo sfidante si rialzò. L’incontro prese un’altra piega. Iron Mike soffrì alla fine del round successivo e alla decima ripresa finì a terra per la prima volta nella sua carriera e perse il titolo. Sarà la fine del suo dominio assoluto. Una delle più grandi sorprese nella storia della boxe è raccontata dai Killers come la metafora dell’eroe che improvvisamente si trova faccia a faccia con la disfatta: «Quando l’ho visto cadere/È sembrato che qualcuno mentisse/Ho dovuto trattenere il respiro». Brandon Flowers, leader della band e originario della capitale della boxe Las Vegas, era un bambino ai tempi dell’incontro e vedeva in Tyson un eroe indistruttibile. «Viveva nella nostra città – ha spiegato il cantante – e vedevo i suoi incontri con i miei genitori. Questa sconfitta ebbe un incredibile effetto su di me».