Visioni

«Il mio corpo», Oscar e Stanley nella Sicilia postapocalittica

«Il mio corpo», Oscar e Stanley nella Sicilia postapocalittica

Cinema Il film di Michele Pennetta alla Festa di Roma, sezione Alice nella Città

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 23 ottobre 2020

Cresta di capelli ricci, occhi grandi e castani, Oscar non sorride mai: lo sguardo è sempre rivolto altrove rispetto a dove si trova, nasconde dei pensieri forse troppo gravosi per un ragazzino della sua età, entrato a malapena nell’adolescenza. Uno sguardo che condivide con Stanley, nigeriano, arrivato come tanti a bordo di un barcone e a cui un prete trova dei lavori saltuari come pulire la chiesa o dare una mano al pastore con le sue greggi.

SIAMO nel centro della Sicilia, dentro un paesaggio riarso dal sole che è il terzo protagonista del film che Michele Pennetta presenta ad Alice nella Città , sezione parallela della Festa del Cinema di Roma (e con il «label di Acid 2020): Il mio corpo. Incontriamo Oscar mentre insieme al fratello più grande e al padre, rigattiere abusivo, raccoglie elettrodomestici usati abbandonati in delle discariche improvvisate che sorgono ai lati della strada – a casa vive con una miriade di fratelli e sorelle, mentre la madre li ha abbandonati.

Stanley vive invece con il suo amico Blessed, insieme si cucinano dei piatti tipici nigeriani, oppure litigano sulla loro visione del futuro, sulla scelta di Stanley di restare in Sicilia nonostante abbia ricevuto il permesso di soggiorno temporaneo, anziché tentare la fortuna lontano dall’Italia. Blessed invece sta aspettando di sapere cosa deciderà un tribunale a centinaia di chilometri di distanza – nella capitale – della sua richiesta di protezione umanitaria. «I bianchi pensano che i neri siano dei miserabili – dice Blessed a Stanley – come se non avessimo avuto una vita prima, e cominciasse tutto qui».

L’ARBITRARIETÀ della giustizia e del potere è parte di una vita quotidiana senza prospettive, della lotta contro un nemico invisibile dentro un territorio dimenticato, quello della Sicilia centrale, che ha i contorni postapocalittici dell’isola vista dalla macchina da presa di Ciprì e Maresco. «Stando nella regione – dice infatti Pennetta nelle note di regia – ho avuto come la sensazione di vagare tra i luoghi di un disastro atomico: tutto sembrava in disuso, come se una bomba nucleare fosse esplosa e tutto dovesse essere ricostruito da zero». Un territorio «orfano» delle miniere di zolfo abbandonate che fino agli anni Settanta hanno portato molta ricchezza alla regione. Ma poi, «senza preavviso, le miniere hanno chiuso i battenti» e hanno lasciato «agli abitanti dei paesi limitrofi un pugno di sabbia. Da quel momento il centro della Sicilia è diventato una sorta di zona franca che sembra dimenticata dalle istituzioni».

È facendo dei sopralluoghi in quelle zone, dice il regista, che ha incontrato Oscar e suo padre, e ha cominciato a seguire la loro storia vincolata a una totale assenza di prospettive. E trasposta sullo schermo da Pennetta anche nella quasi completa mancanza di rapporti umani dei due protagonisti al di fuori dei loro «nuclei» di appartenenza, nel silenzio che caratterizza le loro giornate – un tempo sospeso nell’attesa di qualcosa che non si conosce, e forse non esiste.

È così che al documentario subentra il tentativo di immaginare un incontro, quello di Oscar e Stanley le cui strade per tutto il film corrono parallele – ma che condividono l’oppressione di un mondo che li ha privati delle grandi speranze che appartengono alla loro età.

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