Il Mezzogiorno dimenticato
Grandi opere Ci vuole un cambio di rotta drastico rispetto a una squilibrata spesa pubblica che ha allargato a dismisura il divario fra Nord e Sud. Puntare su un insieme di interventi diffusi sul territorio, interventi a rete piuttosto che cattedrali nel deserto. Per questo domani si svolgerà su tutta la costa ionica la manifestazione pubblica "Riprendiamo il treno"
Grandi opere Ci vuole un cambio di rotta drastico rispetto a una squilibrata spesa pubblica che ha allargato a dismisura il divario fra Nord e Sud. Puntare su un insieme di interventi diffusi sul territorio, interventi a rete piuttosto che cattedrali nel deserto. Per questo domani si svolgerà su tutta la costa ionica la manifestazione pubblica "Riprendiamo il treno"
Il Ponte sullo Stretto è fumo negli occhi dei cittadini del Mezzogiorno per coprire le insufficienze e le ingiustizie di fallimentari politiche di sviluppo in atto da oltre 30 anni. Un impegno di quasi 9 miliardi di euro che non ha – ormai è dimostrato – sostenibilità economica, finanziaria, ambientale. E a cui non hanno creduto neppure i più grandi gruppi bancari internazionali che, infatti, si sono tenuti alla larga da ipotesi di project financing. Renzi non ha ancora capito che agli italiani non interessano grandi opere inutili, mangiasoldi e corruttrici; l’opera più grande che interessa la comunità è il rilancio del Mezzogiorno, un cambio di rotta drastico rispetto a una squilibrata spesa pubblica che ha allargato a dismisura il divario fra Nord e Sud. Puntare su un insieme di interventi diffusi sul territorio, interventi a rete piuttosto che cattedrali nel deserto. A cominciare dalla messa in sicurezza delle reti stradali e ferroviarie, per poi attrezzare la ferrovia in modo da garantire velocità e frequenza su standard dignitosi, ripristinare i treni a lunga percorrenza che sono stati cancellati condannando la povera gente a viaggiare in condizioni assurde per 15 ore su autobus di notte, valorizzare porti e aeroporti, garantire la continuità sullo Stretto di Messina con naviglio adeguato e non monopolizzato da operatori privati.
In Calabria siamo sulla soglia della catastrofe: i due aeroporti di Reggio e Crotone rischiano di chiudere; il porto di Gioia Tauro è fermo al palo da un decennio; la ferrovia ionica è lasciata al degrado dalle Fs che probabilmente mirano alla sua dismissione; l’autostrada A3 sarà battezzata come Salerno-Cosenza, visto che i lavori di ammodernamento previsti più a Sud sono stati definanziati; la SS 106 ionica miete decine di vittime ogni anno.
Ciò che stupisce è la distanza abissale fra i fatti che il governo pratica e gli annunci populisti del premier. I fatti si possono tradurre in poche cifre. Limitando l’attenzione al comparto ferroviario, negli ultimi 30 anni sono state investite risorse pubbliche considerevoli per l’Alta Velocità, trascurando i servizi di trasporto ferroviari regionali, in assoluta contraddizione con i dati di mobilità. I pendolari che si muovono quotidianamente in treno sono 3 milioni, i viaggiatori sulla lunga percorrenza sono appena 300 mila; basterebbe questo dato per affermare che sarebbe più oculato, in una logica sana di mercato, rispondere alla domanda di trasporto in modo più equilibrato a favore della scala locale e regionale.
Invece continua a prevalere l’ingiustizia. I tagli alle ferrovie regionali sono continui e l’effetto è sotto gli occhi di tutti: treni soppressi, treni sempre più vecchi, sporchi, soggetti a guasti, servizi da terzo mondo. È ormai evidente lo squilibrio nel sistema di trasporto nazionale fra regioni del Nord e regioni del Sud. A parte la maggiore estensione di autostrade e viabilità di qualità, si rileva che a fronte di 50 chilometri di rete a doppio binario per 100 chilometri di rete nel Nord, nel Sud se ne trovano 27; a fronte di numerosi collegamenti ferroviari tra regioni del Nord, quelli fra regioni del Sud sono rari e di scarsa qualità. Solo con riferimento alla Calabria, in un biennio sono stati soppressi 18 treni interregionali. Gli impatti delle politiche perseguite negli ultimi decenni rivelano una ingiustizia sociale senza precedenti: 120 treni Alta Velocità fra Roma e Bologna, frequenze rilevanti fra le metropoli del Centro-Nord e il vuoto altrove; frammentazione e impoverimento dei servizi interregionali che penalizzano in modo pesante il Mezzogiorno.
Nel comparto ferroviario, nulla è preventivato in sede di programmazione europea; nel piano di sviluppo Fs, solo il 14,2% delle risorse su un ammontare di 43,5 miliardi di euro, è destinato al Sud e la Calabria è totalmente esclusa. A gennaio 2016, il ministro Delrio ha presentato «la cura del ferro», affermando che un’offerta di qualità stimola la domanda. Affermazioni che noi condividiamo in pieno. Ma che delusione a leggere i numeri: su 9 miliardi di euro nel triennio 2016-18, ben 8 sono destinati a grandi opere nel Nord Italia (tunnel e Tav). Al Sud solo briciole, alla Calabria 100 milioni appena. Ma la cura del ferro non dovrebbe essere destinata agli anemici?
Con tale consapevolezza le popolazioni calabresi si stanno organizzando per una mobilitazione di grande rilievo. Domani si svolgerà su tutta la costa ionica una manifestazione pubblica (Riprendiamo il treno) per chiedere la salvaguardia e il rilancio della ferrovia ionica su standard europei, indetta dalla «Rete delle Associazioni per la Ferrovia Ionica Bene Comune», l’iniziativa prevede una massiccia presenza di cittadini nelle stazioni e sui treni. Stanno aderendo decine di sindaci, di associazioni, di movimenti di cittadinanza attiva.
*Ordinario di Trasporti, Università Mediterranea di Reggio Calabria e presidente del Ciufer
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