Il mestiere (sottopagato) dell’animatore
Maboroshi Gli orari e i compensi dei lavoratori sono uno dei più grossi problemi dell’industria animata nipponica
Maboroshi Gli orari e i compensi dei lavoratori sono uno dei più grossi problemi dell’industria animata nipponica
Spesso si parla di animazione giapponese, a buon diritto e molte volte lo abbiamo fatto anche sulle pagine di questo giornale, prettamente dal punto di vista del risultato finito. Dei picchi artistici cioè raggiunti nel corso dei decenni dai grandi nomi e dalle grandi case di produzione, che siano Hayao Miyazaki, Makoto Shinkai, Mamoru Oshii, la Toei, la Madhouse o lo Studio Ghibli. Molto meno si parla,e si scrive invece, del lavoro che sta dietro la produzione di film d’animazione, sia seriale che per il grande schermo.
È UN SEGRETO di Pulcinella che gli orari lavorativi e la paga degli animatori siano uno dei più grossi problemi dell’industria animata nipponica, spesso infatti si tratta di contratti a tempo determinato che si interrompono quando il prodotto viene finito. Ci sono delle lodevoli eccezioni, ma in genere la paga mensile di un giovane animatore (di poco sotto i trent’anni) è in media di poco più di 800 euro, e questo perché spesso si tratta di operatori retribuiti a cottimo secondo il numero di disegni prodotti. Proprio per queste ragioni il mestiere dell’animatore, paradossalmente in un momento storico in cui l’animazione giapponese è diventata stabilmente un’arte apprezzata in tutto il mondo, richiede quasi sempre orari di lavoro lunghissimi e quasi insostenibili. Un problema atavico nell’arcipelago, fin dai tempi di Osamu Tezuka nei primi anni sessanta, ma che è andato a inasprirsi nel corso degli ultimi decenni. A ciò si aggiunga il fatto che la maggior parte delle case di produzione sono situate a Tokyo, dove il costo della vita e quello delle abitazioni non è di certo basso.
Nel 2014 un gruppo di animatori però, resosi consapevoli dell’asprezza della situazione, cerca di immaginare e mettere in pratica un’idea alternativa. Questa associazione si lancia in rete per raccogliere i fondi necessari allo scopo di offrire appoggio ai giovani animatori con la costruzione di un dormitorio. Dal 2014 al 2018 l’Animator Dormitory Project riesce ad aprire a Tokyo e nelle zone limitrofe quattro piccoli dormitori capaci di ospitare undici persone.
IN QUESTO 2019 comincia per il gruppo una nuova fase, il New Anime-Making System, decisamente più ambiziosa. Il fine del nuovo progetto è infatti quello di formare un modello produttivo capace di realizzare animazioni e allo stesso momento fornire ai giovani animatori una paga mensile che possa permettere loro di vivere dignitosamente. Al momento il progetto è ancora in fase di sviluppo e sta cercando fondi attraverso vari portali in rete (ne citiamo uno: https://gogetfunding.com/new-anime-making-system-project/). Esistono delle difficoltà evidenti che vanno superate, in primis quella dei costi altissimi che l’animazione di qualità richiede oggigiorno, e se il lavoro non diventa un successo si tratta quasi sempre di un fallimento economico. Proprio per limitare i rischi, il sistema produttivo più utilizzato al momento nel Sol Levante è quello dei comitati formati da reti televisive, case di produzione, case editrici e studi di animazione. In questo modo i costi vengono suddivisi, ma sovente chi sta alla base della piramide, ovvero gli animatori, viene sfruttato e pagato malissimo. Inoltre questo meccanismo, che è usato anche nella produzione di gran parte delle pellicole live-action realizzate nell’arcipelago, intacca e non di poco la libertà espressiva del processo lavorativo. Perché troppi galli in un pollaio determinano limitazioni su limitazioni, per un risultato che troppo spesso risulta sciatto e si prende pochi rischi artistici.
matteo.boscarol@gmail.com
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