Il Mes non è archiviato. Il Pd apre, altolà dei 5S
Punto e Mes Il premier in difficoltà Prodi: «Come si fa a dire di no a 36 miliardi senza condizioni?» Zingaretti d’accordo. Di Maio: «È uno strumento antiquato»
Punto e Mes Il premier in difficoltà Prodi: «Come si fa a dire di no a 36 miliardi senza condizioni?» Zingaretti d’accordo. Di Maio: «È uno strumento antiquato»
Se Conte, con la fragorosa conferenza stampa di venerdì, sperava di aver disinnescato la mina Mes, oggi l’ordigno più pericoloso per palazzo Chigi, aveva sbagliato le previsioni. La partita non è chiusa, spinta anche dalle fosche stime dell’Fmi, che vede un arretramento di 3 punti del Pil mondiale con l’Italia messa peggio di tutti, 9,1% in meno.
LA FACCENDA SPACCA tanto la maggioranza quanto l’opposizione. L’offensiva del fronte che a rifiutare la nuova linea di credito del Mes non ci pensa per niente è frontale e massiccia. Apre il fuoco Romano Prodi, una di quelle voci che il Pd non può non ascoltare: «È un prestito ma a tasso talmente basso… A caval donato non si guarda in bocca». Qualche ora dopo rincarerà nominando il vero problema: «Come si fa a dire di no a 36 miliardi senza condizioni? Oltre tutto ci indebolirebbe nella trattativa». Insomma, quei 36 miliardi fanno gola in sé ma soprattutto sono la chiave per insistere sui Recovery Bond, versione a tempo limitato degli eurobond, e soprattutto negare la firma influirebbe negativamente sulla Bce, che con l’acquisto illimitato di titoli italiani sta in questo momento tenendo l’Italia attaccata a un respiratore senza il quale sarebbe già morta.
Dopo Prodi arriva Confindustria: «È fondamentale usare tutti gli strumenti disponibili». Iv martellava, con Marattin, già dalla sera di pasquetta, prendendo di mira il viceministro Pd dell’Economia Misiani, che aveva confermato il no al Mes: «Ormai per distinguere il Pd dal M5S ci vuole il microscopio». Ma quell’uscita non era piaciuta neppure allo stesso Pd e nel pomeriggio i capigruppo Marcucci e Delrio smentiscono a voce altissima: «Rifiutare il Mes senza condizioni sarebbe incomprensibile».
A chiudere l’assedio ci pensano Renzi, sbrigativo («L’Italia userà tutto, anche il Mes») e Zingaretti, ma solo in veste, giura, di presidente di Regione: «Perché no se è senza condizionalità?».
IL PERCHÉ LO SPIEGANO i 5S, ribadendo il pollice verso: «I guai arriverebbero dopo l’emergenza». Perché, in effetti, un Mes «senza condizionalità» non esiste. Ma se la maggioranza è spaccata, la destra versa in condizioni identiche. Fi si smarca dagli alleati: «Il Mes non può essere un tabù». Poi è Berlusconi stesso a chiarire: «Non usarlo per la Sanità sarebbe un errore clamoroso».
Quello degli azzurri è uno slittamento fondamentale, soprattutto per quanto riguarda i rapporti di forza in parlamento. In materia i 5S sono, come al solito, divisi. I duri contrari al Mes, al Senato, basterebbero a decretare la vittoria di chi quei 36 miliardi non intende chiederli. Con il supporto di Fi, invece, la bilancia verrebbe riequilibrata, a meno di un no compatto dell’intero M5S.
DI MAIO VEDE IL CERCHIO chiudersi intorno alle sue posizioni e rilancia: «Uso le parole di Conte: il Mes è uno strumento antiquato». Lo strattone ha uno scopo preciso: ricordare al premier che, dopo essersi esposto al massimo, cambiare posizione scontando il no di una parte della sua maggioranza lo renderebbe fragilissimo. Tanto più che la ridicola diatriba che si trascina da giorni su chi abbia mentito tra lo stesso premier e la coppia Meloni-Salvini in materia di Mes si rivolgerebbe come un boomerang contro palazzo Chigi.
I due leader della destra non mancherebbero di strillare che avevano ragione loro e che il governo si preparava davvero ad accettare il Mes.
PER USCIRE DAL VICOLO cieco il premier ha una sola possibilità: una vittoria tanto netta sul fronte del Recovery Fund nel Consiglio europeo del 23 aprile da giustificare un ripensamento sul Mes, probabilmente affermando in prima battuta che comunque l’Italia non ne avrà bisogno salvo poi accedervi dopo l’estate, quando il fuoco della polemica si sarà, negli auspici del governo, stemperato.
È un strada impervia ma non del tutto preclusa. Il vicepresidente della Commissione Dombrovskis, tradizionalmente schierato con i falchi, ha aperto ieri uno spiraglio: «C’è bisogno di un Fondo di 1500 euro finanziato con obbligazioni sostenute dagli Stati membri». Non si tratterebbe di eurobond, perché per questo ci vorrebbe il semaforo verde di tutti e oggi non è possibile. I dettagli della proposta devono essere definiti e giovedì dovrebbe tornare a riunirsi l’Eurogruppo. Per Conte la possibilità di tirarsi fuori dall’enorme guaio in cui si trova dipende da quei dettagli.
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