Il MES alle calende greche
Nuova finanza pubblica La rubrica settimanale di politica economica. A cura di autori vari
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L’approvazione della riforma del Meccanismo europeo di stabilità, che sta per essere congelata per altri quattro mesi, pare un grattacapo notevole per l’esecutivo Meloni: la maggioranza tentenna ed esita ma non la fa passare, mentre il Pd per bocca di Schlein fa eco alle cancellerie europee e alla tecnocrazia dominante per una celere approvazione. Per cogliere appieno la posta in gioco bisogna ricordare che il Mes è niente di meno che l’ente cui in ultima analisi faceva capo la Troika. Tutto il meccanismo di maggiore controllo dei bilanci pubblici (per restringerli) dei paesi membri in capo alla Commissione, i prestiti agli Stati della periferia europea per rimpinguare le banche francesi e tedesche imponendo ad essi un ruvido programma di tagli alla spesa sociale e un programma neoliberista fanno parte di un insieme di strumenti diversi ed eterogenei ma solidamente unitari per logica profonda, concezione ed unità d’azione con il Mes al centro.
Tale ente esiste dal 2012, terzo ed ultimo degli organismi infelicemente denominati “salva-Stati”, istituito in base ad un trattato internazionale fra i paesi dell’eurozona – quindi non fa parte dell’assetto giuridico dell’Unione, ma si sovrascrive ad esso interagendo in modo funzionale. L’organismo ha ricevuto dei fondi da ciascun paese sottoscrivente con cui avrebbe dovuto aiutare i membri in difficoltà, ma gli aiuti non derivano direttamente da tale “tesoretto”.
Quest’ultimo è la base per chiedere fondi in prestito al mercato dei capitali privati, i quali a loro volta il Mes presterà ai bisognosi alle condizioni di ottemperanza di un documento che descrive le politiche da intraprendere. Sono i famosi “Memorandum”, testi di ampie dimensioni con una minuta descrizione di tutta la terapia liberista da porre in essere.
Sette paesi sono stati sottoposti alle (poco) amorevoli cure del Mes, che ha delegato varie sue funzioni alla Troika, appunto: BCE, Commissione e FMI, balzati sul proscenio dello spettacolo dell’austerità.
I poteri dominanti hanno gestito la crisi dell’euro sulla pelle dei lavoratori e dei ceti subordinati, riportando il continente all’ordine padronale. Ma le cose sono state fatte in fretta, assemblando elementi erratici: Mes e Fiscal Compact sono trattati autonomi alla Ue. È così sorta l’iniziativa di integrare il primo nell’assetto comunitario con la denominazione di “Fondo monetario europeo” con la proposta della Commissione del dicembre 2017. Il tentativo, forse troppo ardito, è andato a vuoto e quindi si è ripiegato su una più modesta serie di emendamenti che sono stati approvati negli giugno del 2019.
Di queste modifiche si parla oggi: il MES è in vigore e pienamente attivo, ma dopo la chiusura della crisi del debito aveva perso un po’ un ruolo. Gli emendamenti mirano a farne un elemento centrale per la stabilità finanziaria dell’eurozona. Da un lato si distinguono due linee di finanziamento differenziate per paesi “bisognosi”: una detta “precauzionale” per chi è messo meglio (sostanzialmente per chi di aiuto non ha realmente bisogno), una “rinforzata” per gli altri. Ai “primi della classe” verrebbe inviata una semplice lettera di amichevoli consigli, agli altri – fra cui senza dubbi l’Italia – il solito Memorandum pieno zeppo di riforme liberiste che come al solito farebbero più danni della grandine.
Ma c’è di più: per ottenere il finanziamento il suddetto paese deve ristrutturare il debito, cioè fare default, non come avvenimento eventuale – anche la Grecia l’ha fatto, per inciso – ma come precondizione necessaria. Ciò significa che al più mite stormir di fronte che può far presagire dei problemi finanziari gli investitori annuseranno subito la sòla dietro l’angolo e quindi chiederanno interessi assai più alti per comprare i titoli di Stati. Senza contare che in base al nuovo Mes novellato tutti gli Stati membri dovrebbero emettere obbligazioni con della clausole che intendono facilitare la ristrutturazione. Insomma sono elementi che amplificano i rischi di instabilità anziché sopirli, e con le nuove politiche monetarie restrittive prodromiche di nuove crisi economiche e bancarie sarebbe il caso di pensarci anche più di qualche mese, ma di andare alle calende… greche.
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