Il memoir di un medico dentro la crisi calabrese
Scaffale «Ho visto» di Santo Gioffrè, pubblicato da Castelvecchi. Le mani della ’ndrangheta sulla sanità. Per ciò che descrive, l’autore ha rischiato la vita
Scaffale «Ho visto» di Santo Gioffrè, pubblicato da Castelvecchi. Le mani della ’ndrangheta sulla sanità. Per ciò che descrive, l’autore ha rischiato la vita
Medico, politico, amministratore, romanziere, dirigente sanitario. E testimone della «grande truffa della sanità calabrese». Santo Gioffrè nel suo ultimo libro, Ho visto (Castelvecchi, pp. 76, euro 15) racconta con dovizia di dati e particolari la sua esperienza sulla tolda di comando dell’Azienda sanitaria di Reggio Calabria.
UN RACCONTO in presa diretta, una testimonianza dura e cruda di una sanità allo sbando, preda di felloni, territorio di scorribande fameliche. Una narrazione intensa, tra il memoir e il reportage narrativo, che si snoda nel crinale e tra le pieghe di una regione salita alla ribalta per la sanità disastrata. Per quel che ha visto e annotato, Gioffrè ha rischiato la vita. Lo rammenta nell’incipit del libro che parte dalla fine. Dai giorni seguenti alla sua defenestrazione dall’Asp. «Il vostro destino, dopo le cose che avevate scoperto a Reggio, non era quello di starvene qui ora e neanche altrove», gli venne detto. Lui rimase muto e imperturbabile. Ma solo all’apparenza. «Avevo le labbra secche, qualsiasi altro uomo avrebbe vomitato. Aveva nello sguardo un chiodo di ferro. Chi era? Uno sbruffone? Sapeva troppo per essere un occasionale incursore dentro la rumorosa, ultima, cronaca calabrese. Era un poliziotto? Qualcuno che mi monitorava? O era altro?».
La storia di Gioffrè ai vertici della sanità reggina aveva avuto inizio un freddo pomeriggio di dicembre. Una telefonata lo sorprese. «Il presidente Oliverio mi annunciò che ero stato nominato commissario. Rimasi incredulo. Muto, tanto che Oliverio mi chiese se fossi ancora al telefono». L’azienda sanitaria reggina era la peggiore d’Europa. I tecnici di Bruxelles lo avevano sentenziato. Anni di saccheggi e ruberie avevano creato un’incertezza sullo stato dei debiti e l’impossibilità di liquidarli. Da sola era stata il motivo della permanenza della Calabria dentro i rigori del piano di rientro.
L’ARRIVO DI GIOFFRÈ negli uffici reggini creò scalpore e sorpresa. «Perché, Santo Gioffrè è medico?», si chiesero gli altri commissari provinciali. Lui era noto come attivista politico. Amministratore, per ben nove anni, della provincia, con il ruolo di assessore alla Cultura. Ma era anche conosciuto come scrittore. Però, nella vita era anzitutto medico, ginecologo, nativo di Seminara e specialista presso l’ambulatorio di Palmi. Gioffrè venne scelto per questo. «Per rovinarmi la vita», aggiunge nel libro.
L’Asp reggina viveva dentro a uno stato di illegalità permanente. «Avevo iniziato a leggere report giornalistici che parlavano di montagne di debiti. Si raccontava di fatture pagate non si sa per cosa. Si ipotizzava che ce ne fossero alcune incassate due, forse tre volte. Risultava non censita parte degli stessi fornitori». E tutto ciò che era scritto nella letteratura giornalistica, Gioffrè lo accertò respirando le carte, spulciando i faldoni, rovistando tra la documentazione contabile. «I dettagli scrupolosi dei pagamenti fatti, per una serie di circostanze su cui nessuno, mai, ha inteso indagare, non venivano rintracciati o inseriti nel sistema meccanografico dell’Asp, in modo che il debito risultasse pagato, quindi rimaneva un debito sempre aperto».
IL MECCANISMO fraudolento era ben oliato. E che l’azienda fosse territorio indisturbato di razzie spiega perché sia stata negli anni sciolta per infiltrazioni della ’ndrangheta. Dal giorno del suo insediamento Gioffrè venne guardato a vista e con sospetto. Lui, intanto, cercava di capire e investigava. Era come una «pulce bagnata». Così andavano dicendo, senza nemmeno preoccuparsi di non farlo giungere alle sue orecchie. Erano fieri della loro arroganza, del loro disprezzo. Pensavano di fargli perdere l’equilibrio solo con gli sguardi.
Alla fine, però Gioffrè, dopo mesi di stoico servizio, venne messo davvero alla porta. Un decreto dell’Anac lo sollevava dall’incarico di commissario per un presunto vizio di «inconferibilità». Venne applicato quell’articolo della Legge Severino che vietava a chi era stato candidato, nei cinque anni precedenti, alla carica di sindaco in uno dei paesi ricadenti nell’ambito territoriale dell’Asp, di poter assumere l’incarico di direttore generale. «Io, durante quei cinque mesi, non fui mai convocato da nessuno a rendere dichiarazioni. Perché l’Anac non mi ha mai convocato?». Misteri, uno dei tanti in questa storia di Calabria. Un dato è certo: il «disturbatore» Gioffrè ha levato il disturbo. E gli equilibri consolidati nell’Asp di Reggio sono tornati più solidi che mai.
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