Non mi pare che i giornali abbiano ricordato un anniversario tra i più cruenti della seconda guerra mondiale, il massacro di Lidice, 11 giugno 1942. Lidice era (forse è ancora) un piccolo villaggio non lontano da Praga, nei cui pressi i partigiani uccisero il nazista Heydrich. Questa vicenda (Heydrich) ha ispirato un grande film di Fritz Lang scritto da Bertolt Brecht sulle ragioni della Resistenza e dell’uccisione di un boia: Anche i boia muoiono, appunto, che mi pare venne presentato al primo festival del cinema di Venezia appena rinato.

Per un altro suo lavoro del tempo di guerra, Brecht scrisse una canzone la cui musica si ispira a Smetana: «In fondo alla Moldava ci sono tre re,/ la notte più lunga eterna non è». E però la notte di Lidice fu più notte di altre. Quel villaggio faceva 503 abitanti, e i nazisti si vendicarono uccidendone i 173 maschi di età superiore a 15 anni. E 105 bambini vennero uccisi nella scuola del villaggio. Sopravvissero in 17 bambini, mentre altri 7, considerati «razzisticamente adeguati», vennero deportati in Germania e trasformati in tedeschi. Capita oggi quasi quotidianamente di leggere di uccisioni di bambini a Gaza, e non può non colpire che tra coloro che ne sono responsabili vi siano dei sopravvissuti ai massacri hitleriani o i loro figli. Cosa succederà ancora, con l’insediamento a Gaza dei nuovi coloni?

Ben altra è la storia che ci racconta un romanzo uscito nel 1938, poco tempo prima dell’invasione italiana della Grecia. Si chiama Eroica (pp. 246, euro 18,00), e l’ha scritto Kosmàs Politis. Ha qualche punto in comune con il notissimo I ragazzi della via Pál di Ferenc Molnar, solo che qui è viva nei protagonisti la conoscenza di Omero, e alcuni di loro si sentono come gli eroi dell’Iliade. L’editore è Crocetti, che pubblica anche la bellissima rivista «Poesia».

A memoria d’uomo, il gioco della guerra ha sempre attirato i bambini. Ogni uomo è stato bambino, e ogni donna è stata bambina ma per fortuna meno attratta da quel tipo di giochi. Uno dei giochi di gruppo (di grandi gruppi) più diffuso ai miei tempi si chiamava «la guerra francese», forse un ricordo della disfida di Barletta, e mi pare che a Napoli si chiamasse ’a mmesca frangesca

L’uomo non è un animale pacifico, la natura è crudele e non ha mai amato i più deboli. Ma dovrebbe essere appunto la cultura (la civiltà) a guidare le nostre azioni, ad aiutarci a scegliere ogni volta tra il bene e il male, a distinguere il giusto dall’ingiusto. La guerra non ha mai veri vincitori, semina morte su tutti i fronti e tra chi ci sta in mezzo. Scrisse Malaparte che «anche le donne hanno perso la guerra» (proverò a rileggerlo), e continuano a perderla in tante parti del mondo così come continuano a perderla i loro figli, che pure amano farla anche se, per fortuna, per finta.