Politica

Il marziano atterra sul Pd, da sindaco

Il marziano atterra sul Pd, da sindacoIl sindaco di Roma, Ignazio Marino, attorniato dai suoi supporter – LaPresse

Campidoglio A tre giorni dalla deadline, il chirurgo democratico ritira le dimissioni che era stato costretto a presentare il 12 ottobre. La mossa anticipata costringe il partito renziano alla politica creativa. E la richiesta di andare in Consiglio viene affossata

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 30 ottobre 2015

Matteo Orfini aveva sperato in un po’ più di tempo a disposizione per preparare la controffensiva e lavorare di fino sulle resistenze dei consiglieri dem, ma il sindaco “marziano” ha mosso anzitempo la pedina che i renziani speravano non toccasse almeno fino a domenica. E così ha sparigliato le carte di un gioco che non era nemmeno stato compiutamente apparecchiato.

Ignazio Marino ritira le dimissioni che aveva presentato, sotto la pressione schiacciante del Pd e il ricatto dello “scandalo scontrini”, il 12 ottobre scorso e che sarebbero diventate effettive da lunedì prossimo.

La notizia piomba nelle stanze del Nazareno dove il commissario/presidente tenta da ore di trovare la quadra con la politica creativa, facendo sottoscrivere – carta e penna in una mano, e la minaccia di essere esclusi dalle prossime liste elettorali nell’altra – le dimissioni contestuali dei 19 consiglieri dem, recalcitranti al «mercato delle vacche» già aperto nelle file della destra, come lo chiama il capogruppo di Sel Gianluca Peciola. La brutta novella arriva, insieme agli applausi dei supporter del sindaco assediato dai giornalisti durante l’inaugurazione di una ex caserma restituita alla città, e straccia il vestito nuovo dell’imperatore che siede a Palazzo Chigi.

La strategia di Marino è una sola: costringere i suoi detrattori a giustificare pubblicamente le ragioni della sfiducia, i motivi per i quali dovrà essere ricordato come l’unico sindaco della storia recente della Capitale che non ha concluso la consiliatura, defenestrato dal suo stesso partito. Lo aveva detto chiaramente anche mercoledì sera, incontrando, a casa del vicesindaco Marco Causi, il commissario Orfini e gli assessori che Renzi gli ha imposto nel rimpasto di luglio. «Ritengo che ci sia un luogo sacro per la democrazia che è il Consiglio comunale e io sono pronto a confrontarmi con la mia maggioranza per illustrare quanto fatto: le cose positive, gli errori e la visione per il futuro», ha affermato Marino preannunciando l’intenzione di chiedere formalmente alla presidente Valeria Baglio la convocazione dell’Aula Giulio Cesare.

Anche Sel e il M5S vogliono che il Pd riporti la questione su un livello di correttezza istituzionale. Stefano Fassina invita il suo ex partito a non usare l’escamotage delle dimissioni per evitare di «spiegare alla città le ragioni della sfiducia». E il radicale Riccardo Magi denuncia: «Ora basta personalismi. Alla città non servono eroi ma riforme urgenti. Solo su questo abbiamo sempre giudicato il sindaco e la giunta e continueremo a farlo, se sarà ancora possibile, in Aula. Le dimissioni di massa dimostrano che per il partito di Renzi e Orfini è del tutto marginale se non insignificante che la crisi venga risolta nella sua sede istituzionale».

Poche ore prima della notizia “bomba” però anche l’ex assessore Stefano Esposito – che ieri per invogliare i consiglieri più reticenti ha rassegnato per primo le dimissioni seguito da Causi, mentre le hanno soltanto annunciate Sabella, Marco Rossi Doria e Luigina Di Liegro – aveva già assicurato: «In Consiglio si andrà perché, qualunque sia la scelta di Marino, è giusto che ne parli al Consiglio e quindi alla città». Dunque non dovrebbero esserci resistenze, da questo punto di vista. Eppure.

Eppure ancora ieri i grillini invitavano i consiglieri dem a «votare la nostra mozione di sfiducia». Loro che, come Sel, si sono sottratti alla richiesta di aiuto del Pd rifiutandosi di aderire alle dimissioni di massa e costringendo così Orfini a chiedere perfino l’adesione di Gianni Alemanno. Tragedia sfiorata, malgrado l’ex sindaco sarebbe stato ben contento di contribuire al disfacimento dem, e alla quale si è messo riparo accettando il paracadute delle dimissioni del candidato quattrostagioni Alfio Marchini. Il numero magico dei 25 consiglieri dimissionari (la maggioranza del consiglio, necessaria per sciogliere il Campidoglio e commissariare il comune durante il Giubileo) sarebbe stato così raggiunto. Proprio mentre il vendoliano Gianluca Peciola si augurava che «la buona politica fermi la pagina scandalosa del mercato delle vacche».

Certamente, c’è da vederle nero su bianco, queste dimissioni di massa. Ma siccome Marino, da “cavallo pazzo” quale è, non forniva abbastanza garanzie – soprattutto al Vaticano – sulla gestione del Giubileo che è alle porte, non c’è tempo da perdere, per il Pd. Il premier/segretario non vuole neppure concedere al “marziano” l’onore di rappresentare con la fascia tricolore il comune di Roma, parte civile nel processo contro gli imputati di Mafia Capitale che si aprirà il 5 novembre prossimo.

E così la pagina più buia del Pd romano sembra essere stata irrimediabilmente scritta, se perfino l’ex assessore Sabella a sera afferma laconico: «Ero assolutamente convinto che ci sarebbe stata una discussione in aula, la logica per me era il passaggio in Aula. Se Orfini riesce a far dimettere 25 consiglieri è chiaro che l’Aula non esisterà più per il sindaco, e non avrà una bella sede istituzionale dove dare atto dei risultati buoni e positivi che ha dato a questa città e che gli va riconosciuto».

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento