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Il «martire» dell’archeologia il giorno dopo

Il «martire»  dell’archeologia  il giorno dopoKhaled As’ad

Palmira Narrazioni "romantiche" e ombre nella vicenda di Khaled As'aad, lo studioso siriano decapitato dall'Isis

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 21 agosto 2015

Due giorni dopo l’annuncio della terribile esecuzione di Khaled As’ad per mano dello Stato Islamico, sui media abbonda la retorica legata alla sua morte. Se i mezzi d’informazione arabi non esitano a definirlo «martire», le maggiori testate italiane imbastiscono la storia «romantica» dell’archeologo-eroe.
Secondo le notizie riportate – fra gli altri – da Repubblica, Corriere e La Stampa, As’ad sarebbe stato imprigionato un mese fa. Sottoposto a torture da parte dei militanti dell’Isis allo scopo di rivelare il luogo dove aveva provveduto a nascondere preziosi reperti, si sarebbe dunque «sacrificato» nel tentativo di salvare Palmira, il sito che aveva diretto fino al 2003 consegnando poi il testimone al figlio. La versione che vuole il suo corpo appeso a una colonna romana tra le rovine dell’antica città carovaniera, è l’immagine che corona un racconto costruito ad arte, in cui l’archeologia diventa il nobile pretesto per soccombere alla jihad.

As’ad diviene dunque simbolo dell’integrità morale che si oppone alla brutalità della violenza. Prontamente, in Italia, si lanciano iniziative per «onorare» la memoria dello sventurato studioso siriano. A Torino esposizione delle bandiere a lutto nei musei e nelle istituzioni culturali della città. Il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini rilancia l’idea su Twitter e chiede bandiere a mezz’asta in tutti i luoghi di cultura dello Stato. Renzi fa sapere che As’ad verrà ricordato in tutte le feste dell’Unità per «non rassegnarsi alla barbarie».

Intanto, dalla Siria, membri della Direzione Generale alle Antichità, riferiscono che l’anziano archeologo non aveva voluto lasciare Palmira, malgrado benevole raccomandazioni. Non confermate, invece, le voci di un trasferimento di reperti in un nascondiglio segreto da parte di As’ad, in quanto le operazioni di salvataggio di opere d’arte sarebbero state portate a termine dalla stessa Direzione Generale prima che gli uomini del Califfo occupassero il sito lo scorso maggio. Altre fonti tutte da verificare dipingono As’ad come un uomo vicino al regime di Assad sospettato di traffico di reperti. Un giovane archeologo siriano, attualmente rifugiato in Italia, che preferisce restare anonimo, racconta di esser stato cacciato dall’ex direttore di Palmira in quanto studioso di antichità cristiane in un paese musulmano.

Resta il gesto efferato compiuto dallo Stato Islamico e in cui l’archeologia – così come scritto nella «sentenza» decretata dai militanti di Daesh – è solo uno degli aspetti della condanna. Nella triste vicenda della sua decapitazione s’intrecciano dunque religione e fanatismo, ma anche politica e «interessi».
I beni culturali rimangono dunque sullo sfondo, come cornice di bellezza che contrasta l’orrore ma anche come strumenti di manipolazione della realtà. La «vendetta» dell’Isis non riguarda solo gli odiati idoli ma s’inserisce in un contesto di lotte interne all’Islam, nel quale sembrano ora giocarsi le sorti della Siria.

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