Italia

Il marmo sovranista

VittorianoIl restauro del pennone di Gaetano Vannicola – foto Vivecultura

Roma Il restauro del Vittoriano gronda retorica, tra identità nazionale e antichi splendori. Eppure il complesso architettonico non ha mai riscosso un grande successo popolare

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 25 agosto 2024

«Il restauro dell’aquila monumentale e della Vittoria alata fa parte di un ampio progetto di riqualificazione e valorizzazione di uno dei monumenti più identitari della Nazione. Il Vittoriano sta tornando al suo antico splendore»», ha affermato il 22 agosto il ministro della Cultura. Una dichiarazione che – corredata dall’immagine dell’aquila «lucidata» a puntino – ha pomposamente risuonato dagli account X (ex Twitter, ndr), Facebook e Instagram di Sangiuliano malgrado le recenti dimissioni del social media manager per un errore (è proprio il caso di dirlo) epocale in occasione dell’annuncio di un comitato nazionale per le celebrazioni dei 2500 anni dalla fondazione di Napoli, città natia dello stesso titolare del dicastero.

Il restauro, diretto da Edith Gabrielli ed eseguito da Susanna Sarmati, ha evidenziato che la finitura dorata delle sculture e degli ornamenti in bronzo risultavano coperte a causa del processo di ossidazione del bronzo e di ridipinture in tinta giallo-limone applicate nel corso del tempo. L’intervento si svolge con la modalità del «cantiere aperto» attraverso0 un sistema di ponteggi trasparenti che permettono ai visitatori di assistere – su prenotazione – a tutte le fasi di lavoro.

IL PROGETTO gode di un contributo di Bulgari – la maison recentemente balzata agli onori della cronaca per uno show della nuova collezione realizzato all’interno delle Terme di Diocleziano, che ha comportato la chiusura parziale del Museo Nazionale Romano –, il cui ammontare non è tuttavia stato reso noto.

Già il 25 luglio, giorno della riapertura al pubblico del Sommoportico e dei Propilei del Vittoriano, il ministro aveva visitato il monumento che si staglia sul versante settentrionale del Colle del Campidoglio sotto la guida di Gabrielli, direttrice del ViVe, istituto autonomo che comprende il Vittoriano e Palazzo Venezia. Anche in quella circostanza, Sangiuliano non aveva lesinato parole traboccanti di retorica patriottica, asserendo dapprima che il Vittoriano permette a cittadini e turisti di «riscoprire e apprezzare uno dei monumenti più significativi d’Italia e simbolo dell’identità nazionale» e poi che «la visita a questo sito consente ai cittadini italiani di ritrovare le ragioni dell’essere popolo e comunità nazionale». Eppure, il complesso architettonico immaginato nel 1878 per ricordare Vittorio Emanuele II e celebrare attraverso la memoria del re il processo risorgimentale –, non ha mai riscosso un grande successo popolare. Conosciuto familiarmente anche come «macchina da scrivere» o «torta nuziale» (e pensare che in origine doveva chiamarsi Emanuelium…), ci fu anche chi – dopo l’inaugurazione del 1911 – lo definì «un pasticcio classico e barocco» nonché un «enorme pisciatoio di lusso che abbraccia dentro i suoi colonnati un pompiere indorato e una moltitudine di statue banali fino all’imbecillità». Si potrebbe obiettare che le critiche alla bruttezza estetica – come quelle qui riportate dello scrittore e poeta Giovanni Papini, accodatosi al giudizio del movimento Futurista, che considerava il Vittoriano un’opera «passatista», non dovrebbero inficiarne il valore simbolico. Tuttavia, anche da questo punto di vista la storia del monumento non è priva di contraddizioni.

La Vittoria alata di Edoardo Rubino del Vittoriano
La Vittoria alata di Edoardo Rubino del Vittoriano

FIN DALL’ORIGINE, il progetto dell’architetto Giuseppe Sacconi (vincitore del secondo concorso, nel 1882) si declinò attraverso i valori di unità e libertà del Paese. Nel 1921 nella parte centrale del monumento detta Altare della Patria – al di sotto della statua di bronzo di Vittorio Emanuele II a cavallo, realizzata dallo scultore Enrico Chiaradia – venne collocata la Tomba del Milite Ignoto, per commemorare i caduti nella Prima guerra mondiale. Il regime fascista trasformò il Vittoriano in una Quinta della propaganda, che esaltava le parate militari lungo Via dell’Impero (oggi Via dei Fori Imperiali) e i discorsi tenuti da Benito Mussolini sul balcone di Palazzo Venezia. Il 21 aprile 1925, Natale di Roma, fu «svelata» la statua raffigurante la Dea Roma, posta al centro dell’Altare della Patria. Nel 1927 fu la volta delle quadrighe della Libertà e dell’Unità, poste in cima al monumento, a oltre cento metri di altezza. Durante la Seconda guerra mondiale nel ventre del Vittoriano venne allestito un rifugio antiaereo.

IL DECLINO del monumento iniziò nel 1969 quando, in concomitanza alla strage di piazza Fontana a Milano, due bombe esplosero all’interno della struttura in marmo Botticino, decretando la successiva chiusura al pubblico del monumento e il suo «isolamento». Negli anni Ottanta del ‘900 fu proprio la constatazione dell’«estraneità e sopraffazione sulla città circostante», a suscitare presso alcuni intellettuali e critici riuniti a Palazzo Venezia un vero e proprio «processo» volto a decretarne la demolizione. Le polemiche sulle sorti del monumento si riaccesero alla fine degli anni Novanta, quando una petizione lanciata dal pittore Piero Dorazio e sottoscritta dagli urbanisti Bruno Zevi e Italo Insolera nonché da Gillo Pontecorvo e Franco Battiato, chiesero all’allora sindaco della capitale Francesco Rutelli di smontare il Vittoriano e ricostruirlo all’Eur.

SCAMPATO alla «ruderizzazione» proposta dall’architetto Ludovico Quaroni, il Vittoriano è stato riabilitato durante la presidenza della Repubblica di Carlo Azeglio Ciampi. Mentre proseguono i lavori sulla fontana Mare Adriatico di Emilio Quadrelli sulle sculture in bronzo dorato raffiguranti Il Pensiero di Giulio Monteverde e L’azione di Francesco Jerace, nei prossimi giorni verrà completato il disallestimento del pennone di sinistra sormontato dall’aquila ideato da Gaetano Vannicola, che si concluderà con lo svelamento della Vittoria alata di Edoardo Rubino. «La bandiera italiana – recita il comunicato del ViVe – potrà così tornare a sventolare sul monumento», e ad offrire – insomma – la scenografia ideale per l’ennesimo elogio del tricolore da parte del governo Meloni e dei suoi più implacabili rappresentanti.

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