Il manifesto ritrova la continuità territoriale
Da oggi nelle edicole C'è bisogno di un’informazione in grado di produrre materiali e visioni critiche per cambiare lo stato di cose esistente, è quindi una buona notizia la visionaria decisione di tornare con un foglio cartaceo, oltre a quello digitale, investendo sulla politica più che sul pareggio di bilancio
Da oggi nelle edicole C'è bisogno di un’informazione in grado di produrre materiali e visioni critiche per cambiare lo stato di cose esistente, è quindi una buona notizia la visionaria decisione di tornare con un foglio cartaceo, oltre a quello digitale, investendo sulla politica più che sul pareggio di bilancio
Superato il primo impatto emotivo, di sorpresa e grande soddisfazione per la notizia del ritorno nelle edicole sarde anticipatami dai compagni della redazione romana, dopo questa lunga assenza (nel nord Sardegna ancora maggiore), la riflessione razionale mi ha suggerito subito tre questioni.
La prima, quale Sardegna ritrova il manifesto dopo questi anni di assenza e di cambiamenti profondi. La seconda, il bisogno di un’informazione in grado di produrre materiali e visioni critiche per cambiare lo stato di cose esistente; infine, la visionaria decisione di tornare con un foglio cartaceo, oltre a quello digitale, investendo sulla politica più che sul pareggio di bilancio. Questioni che provo ad esporre senza cercare organicità, quasi a braccio.
La Sardegna è terra antica che ha subito ripetute conquiste coloniali (da ultima quella piemontese) e oggi cerca di resistere a nuovi attacchi laceranti: il disfacimento del lavoro e l’aggressione al paesaggio, che unisce un neocolonialismo energivoro alla vecchia pratica speculativa dell’edilizia (richieste continue di permessi per impianti eolici, termodinamici, centrali a biomasse, trivellazioni, mentre si esporta energia), rendono delicata la lettura di un’isola ambita per le sue ricchezze paesaggistiche (ahimè, maniera e mantra finora senza sostanza politica: è che servono gli spazi in sé).
I vecchi schemi dei partiti, nella comune omologazione ai grandi poteri, sono frantumati sin dentro al governo regionale in omaggio ad Eni, Saras e Nato, centri fortemente simbolici degli attacchi al paesaggio e di una precisa regia statale e internazionale. Territori espropriati e avvelenati nel profondo, in falde ed antropologie.
La storia e le caratteristiche della Sardegna pongono nel dibattito democratico tema e istanze di un autogoverno che, pur offeso dall’affiliazione salviniana della un dì gloriosa forma politica sardista e ignorato dalla politica ufficiale, anima vivaci discussioni entro l’idea del tragitto dalla produzione della fabbrica alle produzioni del paesaggio. Sono anni che hanno visto il dinamismo straordinario di movimenti legati ai beni comuni (persino l’archeologia si è mossa contro la divisione centralista delle spettacolari statue nuragiche di Mont’e Prama, risorsa territoriale preziosa). Si sono avute le uniche reali vittorie progressiste, come il successo dei comitati di Arborea contro la Saras dei Moratti con le sue richieste di nuove trivellazioni (‘Progetto Eleonora’) e le battaglie vinte o comunque combattute da Porto Torres a Bosa, da Cossoine a Macomer, da Gonnosfanadiga a Villacidro; in mare aperto contro l’airgun di potenti texani. Intanto la temuta desertificazione è arrivata a sinistra, con partiti e partitini frantumati ed erosi senza elaborazione del lutto, compreso quello dell’esperienza soriana, che proprio in ambiente manifestino (devo dire sardo più che romano) fu letta – pur riconoscendo gli elementi positivi di alcune scelte nella tutela del territorio – negli elementi pesantemente negativi di prassi e profilo politico (il resto lo ha confermato Soru con la successiva esperienza nel Pd). L’attuale maggioranza italiana fra Lega padana-sardista e Cinque Stelle rappresenta una straordinaria contraddizione da affrontare.
Si torna in edicola con problemi importanti di individuazione e lettura critica di temi e luoghi ove discutere; su valore e ruolo del lavoro, in particolare quello cognitivo; sui beni comuni; su modelli e obiettivi europei. Servirà seminare dubbi. Ad esempio, siamo certi che la battaglia contro i vincenti nazionalismi di destra possa rinunciare al contributo dei movimenti democratici per l’autodeterminazione e l’Indipendenza? L’Europa del capitalismo finanziario ha come contraltare una sinistra basata sui vecchi stati nazionali e la loro difesa, o a sinistra si può ragionare su un’Europa dei popoli e della democrazia? La relazione fra l’esperienza comunista, i movimenti e le espressioni democratiche dell’indipendentismo non nazionalista – ben nota alla storia del pensiero marxista – vive da tempo nel porto franco del manifesto sardo: ‘Da Gramsci a Lussu verso l’autogoverno dei beni comuni e del territorio’ è il titolo di un convegno aperto da oltre dieci anni.
Insomma, il materiale c’è, ed è composto – quasi specchio della ricca biodiversità isolana – da molti filoni. Ora con l’approdo della nave romana la discussione si potrà potenziare, e tornare oltre il Tirreno con maggiore forza e rinnovata continuità territoriale.
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