Cultura

Il male del mondo nei racconti di Giuseppe O. Longo

Narrativa l'"Anticatalogo" di Giuseppe O. Longo per Jouvence

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 12 gennaio 2016

cyborg

Da dove scaturiscono i dieci racconti che compongono l’Antidecalogo (Jouvence, pp. 128, euro 12) di Giuseppe O. Longo? Da dove sgorgano le storie e le invenzioni che parlano di antiche veggenti e delle loro procaci nipoti; di arcangeli che accompagnano gli inquisitori e le loro vittime; di nostalgie del Natale terrestre in pianeti lontani; di padri affamatori e violenti che riepilogano le loro disgraziate esistenze al tramonto della vita; di cannibali in navigazione sull’oceano; di cinici e lussuriosi amanti; di torture medioevali inflitte nel pieno della modernità; di simbionti, androidi, cyborg, ibridi di uomo e macchina; di eccitazioni generate dalla gelosia; di cupe invidie?

Questi mondi sembrano gorgogliare dal «nero oceano della lontananza innominabile», dalla «nostalgia di un passato luminoso e perduto», da «una grande calma, velata da una punta di malinconia inesplicabile». Anche questi racconti sono dunque frutto del nucleo profondo della narrativa e del pensiero di Longo, sono nati da una tonalità gnostica che percepisce il male del mondo in un modo vivido sino allo strazio e cerca di renderne conto, di spiegarlo, di comprenderlo attraverso la descrizione minuziosa, rigorosa e geometrica delle relazioni che gli umani vivono tra di loro e con il tempo.

Il risultato di tale indagine è molteplice come la vita stessa ed è fatto di odori acri, di sapori lontani; di ironia sempre vigile; di baci nei quali si annega con una «lentezza (che) mi faceva giungere al parossismo»; è fatto di festa, allegria e orrore; è fatto della «pesante armatura dei corpi» i quali cercano di diventare lievi in un eros straripante divertito e intriso della presenza di «femmine dalle grandi superfici»; è fatto del silenzio non ostile né partecipe della materia, il silenzio di «quel fiume di astri palpitanti e remoti, indifferenti alla sua domanda», indifferenti alla richiesta di «un segno, un rumore, una rivelazione», indifferenti alla domanda di senso che asseta gli umani e costruisce le architetture delle loro vite.

Tutto questo è pensato e narrato nello stile secco e insieme palpitante che è cifra dello scrittore triestino. Stile che inventa una strepitosa performance nel IX racconto – Giuochi di mano – costituito da un unico lungo periodo, senza punti fermi a interrompere il profluvio di desiderio e di sesso che lo intrama.

Tutti e dieci i racconti sono espressione dei «peccati» dell’antidecalogo ma quello più aderente al suo oggetto, aderente sino all’insostenibile, è l’invidia protagonista dell’ultimo, La visita. Infine tutto si placa nella potenza della parola, nella sua radicale bellezza, la quale fa sì che dalle «cieche profondità della carne» gnostica, dolente e temporale scaturisca «una pacata tristezza (che) cola sopra i tetti, i balconi, i pinnacoli della città immensa», la città umana che sempre è la vera protagonista della narrativa di Longo.

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