Il mal di Abkhazia nel sanatorio degli sfollati
Reportage A Tskhaltubo, in Georgia, negli edifici cadenti di quella che fu un tempo rinomata località termale, dal 1992 hanno trovato asilo le famiglie georgiane fuggite dalla guerra e dalla pulizia etnica nella regione autoproclamatasi indipendente con l'appoggio della Russia. Doveva essere una soluzione tampone, ma in molti sono ancora lì
Reportage A Tskhaltubo, in Georgia, negli edifici cadenti di quella che fu un tempo rinomata località termale, dal 1992 hanno trovato asilo le famiglie georgiane fuggite dalla guerra e dalla pulizia etnica nella regione autoproclamatasi indipendente con l'appoggio della Russia. Doveva essere una soluzione tampone, ma in molti sono ancora lì
Nella città georgiana di Tskhaltubo i turisti stranieri trascorrono oggi solo una manciata di ore. Il tempo di fare un’escursione tra le pareti sverniciate dei suoi edifici fatiscenti, di immortalare i lampadari di cristallo che pendono dai soffitti ricoperti di muffa.
Le tracce di un’opulenza dimenticata resistono al tempo in questa città della Georgia occidentale che fino agli anni Novanta, grazie alle rinomate proprietà della sua acqua termale, fu ambita meta turistica per migliaia di visitatori sovietici in cerca di benessere.
«LA GENTE ARRIVAVA dal territorio russo tutto l’anno per sfruttare gli effetti salutari dell’acqua di Tskhaltubo. All’epoca i 14 sanatori oggi abbandonati erano tutti funzionanti, si trattava di spa di lusso che includevano ogni tipo di servizio – spiega Lasha Kutateladze, guida turistica di 25 anni -. Dopo la dissoluzione dell’Unione sovietica gran parte di queste strutture ha smesso di funzionare perché il flusso di visitatori si è drasticamente ridotto».
A partire dl 1992 il flusso dei turisti è stato sostituito da quello dei rifugiati georgiani in fuga dalla guerra in Abkhazia, la regione autoproclamatasi indipendente che ha respinto con l’appoggio della Russia i tentativi delle truppe georgiane di ripristinare il controllo dell’area, portando avanti in alcune circostanze operazioni di pulizia etnica contro la popolazione georgiana.
«DURANTE QUEL PERIODO 250mila nostri connazionali che vivevano in quella regione furono costretti a lasciare le loro case. 980 famiglie furono accolte qui a Tskhaltubo e iniziarono a vivere nei sanatori – sottolinea Lasha -. Ho amici della mia età che sono nati e cresciuti all’interno di quelle strutture. All’inizio gli alloggi erano in ottimo stato. Ma pian piano sono stati lasciati andare, e oggi manca il gas, l’acqua e l’elettricità a volte non ci sono. Nonostante tutti i problemi, molte persone non si sono mai spostate perché non hanno un altro luogo in cui andare».
Una soluzione che avrebbe dovuto essere temporanea si è trasformata in uno stallo proseguito per più di 30 anni. Nel tempo, anche a seguito di diverse proteste da parte degli sfollati interni, il governo georgiano ha messo a disposizione nuovi alloggi nei comuni circostanti, ma circa un centinaio di persone sono rimaste bloccate nel limbo e guardano con speranza al 2025, l’anno entro cui tutti dovrebbero essere ricollocati.
Tra chi convive con l’attesa c’è anche Tea Vekya. «Dopo tutto questo tempo, confidiamo nel fatto che arriverà presto un appartamento anche per la mia famiglia, probabilmente ce ne sarà assegnato uno a Kutaisi (città distante 15 chilometri, ndr). Non avere un proprio posto in cui stare ti rende una persona diversa dalle altre». Fuggita dall’Abkhazia con i suoi parenti quando era giovanissima, Tea è cresciuta e divenuta una donna di mezza età in uno dei tanti sanatori di Tskhaltubo. «Questa città ci piace, ma trovare lavoro è complicato. Vivo con mia madre che è malata, non è facile avere un’occupazione che mi permetta di prendermi cura di lei. Ma per tutti noi sfollati il posto migliore è l’Abkhazia. Sogniamo di tornare lì, quando ci incrociamo per strada non parliamo d’altro».
IL RICOLLOCAMENTO degli sfollati interni in appartamenti costruiti nell’area circostanti rientra nell’iniziativa “New Life for Tskhaltubo”, un piano di investimento lanciato dal governo georgiano che prevede la restaurazione e la vendita dei sanatori a privati, con l’obiettivo di riportare in auge la località turistica.
Anche se molte persone dopo oltre 30 anni di vane speranze sono scettiche sulla reale possibilità di veder Tskhaltubo tornare a splendere, per le strade si assiste a un nuovo fermento, con diverse gru ed escavatori già all’opera per rimettere a nuovo le strutture che hanno già trovato dei compratori (il valore totale degli immobili è stato stimato per 50 milioni di lari, circa 16 milioni di euro). «Nonostante le difficoltà, nei sanatori abbiamo anche bei ricordi, andarsene non è stato semplice – spiega un’altra sfollata interna, Mzia Mushkudiani, a cui è stato assegnato un appartamento nel 2012 -. Mio figlio si era affezionato alla vita con gli altri sfollati, era cresciuto con loro. Era stata assegnata una stanza per famiglia e lo spazio era così poco che si aveva la sensazione di vivere insieme. Ogni volta che c’era un problema lo si affrontava in gruppo. Non ho mai visto così tanta solidarietà come durante i miei anni passati nel sanatorio».
SONO CIRCA SEI I VECCHI EDIFICI in cui vivono ancora una trentina di famiglie in attesa di trasferirsi. Uno di questi è il sanatorio Metallurgist, uno dei più noti, presidiato da alcuni uomini che passano tutto il giorno davanti alla porta di ingresso dandosi il cambio per chiedere informalmente ai visitatori 5 lari (circa 1,60 euro) per accedere. Una volta pagato questa sorta di pedaggio e ottenuto il permesso di entrare, la guardia improvvisata della struttura invita a stare alla larga da alcune stanze agli ultimi piani dell’imponente struttura, per non disturbare la gente che ci vive, la cui presenza è segnalata da alcuni vestiti che sventolano dai balconi nell’ala destra dell’edificio.
«Noi tutti vogliamo vedere questa città rinascere, ha una natura splendida grazie alle sue terme e alle sue grotte – dice Leila Ashordia, anche lei fuggita nel 1992 dalla sua casa; a Tskhaltubo ha avviato una organizzazione non governativa per offrire tutela legale alle donne sfollate -. Ma non si potrà pensare realmente a un futuro finché tutti avranno ottenuto un appartamento in cui iniziare una vita normale».
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