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Il Maestro e Margherita, grafico

Il Maestro  e Margherita, grafico

Intervista Riccardo Cecchetti, illustratore, e Simona Caprioli, fotografa, raccontano la loro trasposizione in pannelli visuali dell'opera di Bulgakov

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 17 settembre 2022

Le vicissitudini de Il Maestro e Margherita sono note, il manoscritto venne bruciato dallo stesso autore che poi lo riscrisse, Bulgakov però dovette tenerlo nel cassetto a causa della censura, venne pubblicato postumo venti anni dopo la sua morte avvenuta nel 1940. I manoscritti non bruciano, afferma Woland nel romanzo, ma oltre a non bruciare il tempo ne modifica le forme e i significati. Questo devono aver pensato i due autori di Il Maestro e Margherita (ed. Il Doctor Sax, pp. 316, brossura euro 25, deluxe euro 50), che per semplicità definiamo graphic novel ma si tratta di un viaggio onirico e visionario, all’interno dell’opera di Bulgakov e anche dell’Unione Sovietica di quegli anni.

Riccardo Cecchetti, illustratore, e Simona Caprioli, fotografa, propongono un oggetto filmico in cui i rimandi prendono spunto dal contemporaneo e dalle biografie stesse degli autori. Il libro ha un formato particolare, non racconta in senso stretto ma evoca intrecciando i piani temporali, i personaggi, il contesto, ad ancorarci al romanzo ci sono brevi stralci dell’opera. Bisogna avere una certa predisposizione per confrontarsi con questo tomo illustrato, essere scaltri, portare la parola del grande maestro russo in un’orbita metafisica, astratta, abbandonando l’idea di una ricostruzione del romanzo.

La chiacchierata inizia con Simona proprio su questo punto, sulla difficoltà di entrare nelle trame dei contenuti e su quella di intuire dove inizia il romanzo e dove finisce l’inventiva dei due autori.

Forse il rischio è che, specialmente per un amante de «Il Maestro e Margherita» (da qui «MM»), diventi troppo criptico.
Sì, lo è, ma credo sia il bello di questo libro. Un amante del MM ritrova nelle nostre tavole le immagini che scorrono nel romanzo. Lascia molto spazio all’immaginazione di ognuno di noi. Ho pensato a un lettore che vede la bellezza nelle immagini e ne ricostruisce i passaggi.

Le tavole trasmettono una carica emotiva oscura, in cui si può percepire anche il peso di un artigianato a quattro mani
«MM è stato un filo rosso che ha legato me, Riccardo, Bulgakov, Margherita e il suo maestro. È un affresco, maestoso, originale e visionario. Ci abbiamo lavorato con l’incoscienza che è propria di chi si muove con la passione per qualcosa che sta nascendo e devo ammetterlo, all’inizio, senza sapere bene dove stavamo andando. Ho capito dopo che è stata proprio quell’incoscienza ad allontanarmi e in qualche modo a salvarmi da ogni timore che, citando Eugenio Montale, era quasi fisiologico essere davanti ad un miracolo che ognuno deve salutare con commozione. Le nostre tavole sono concepite come un insieme di fotografia e disegno, la fotografia è la base sulla quale Riccardo disegna. Ho fatto un lavoro l’anno scorso sull’autoritratto, fotografarsi non è mai facile, perché in qualche modo ci si mostra e ci si vede attraverso il proprio occhio e che forse, a quel punto, è anche quello degli altri. L’autoritratto gioca su piani diversi che possono essere anche psicologici, tutto ciò mi ha permesso di essere Margherita e di prestarmi a questa figura che ho amato molto.

Il MM è un’opera stratificata e complessa, con tantissimi spunti. Senza considerare le vicissitudini legate alla pubblicazione del romanzo. Riccardo ha iniziato a lavorarci almeno 9 anni fa, poi si è fermato e ha riacquistato la spinta decisiva quando ha incontrato Simona. Come se continuasse a covargli dentro. A Riccardo domandiamo anche sulla strana apertura, i funerali del poeta
I funerali di Majakovskji sono più in un’ottica storico-biografica, politicamente parlando il suicidio del più grande poeta sovietico fu un enorme trauma, soprattutto per il regime. Prescindendo dalle cause. E qui entra in gioco Stalin, poco prima, questione di giorni, Bulgakov gli scrisse di voler abbandonare la Russia. Stalin non poteva permettersi un secondo fallimento politico così chiamò Bulgakov proponendogli la direzione di un teatro di Mosca e lui accettò. La mia quaestio con il romanzo è vecchia di anni, a mio avviso è il romanzo totale, con infinite chiavi di lettura, un’opera che è una sorta di periplo mitologico, profondamente mistica, non a caso il padre di Bulgakov era un teologo. La storia d’amore, di per sé assurda e surreale, fa da collante ad una infinità di sottilissime sfumature. Con Simona tutto è partito in un secondo momento; ho iniziato a rubarle delle foto dai social poi le ho proposto di collaborare a questo delirio.

Nel libro gli autori si prendono delle enormi licenze come sovrapporre la loro immagine a quella del Maestro e a quella di Margherita. Tanti linguaggi si intrecciano così come c’è un frullatore di personaggi anche lontani da Bulgakov, come Burroughs (a interpretare Woland, azzeccatissimo) e Paolo Villaggio o più direttamente collegati alla sua opera, come appunto Majakovskij o Jurij Gagarin
Una sorta di malcelato narcisismo c’è, nella maniera più assoluta, o meglio, vanità. Per quello che riguarda Simona, dall’inizio ho pensato: è Margherita. Burroughs è un mio grande amore di giovinezza, rappresentava a pieno Woland sia fisicamente che come ha vissuto. Gagarin è stato più un mio vezzo estetico, un altro eroe sovietico di un candore estremo, poi come tutti i bambini, avrei voluto fare il cosmonauta.

La tecnica utilizzata è particolare, in continuità con il lavoro di Magdalo Mussio, le tavole sono sovraimpresse, scarabocchiate, macchiate, ci sono rossi che squarciano le tavole grigie, ambra o quasi bianche. Una modalità per guardare al passato parlandoci dell’oggi, restituire attraverso una trasposizione grafica le sensazioni – per esempio – provocate dalla critica al potere di Bulgakov
Mussio c’entra anche troppo, ho avuto la fortuna di frequentarlo e mi ha aperto un nuovo mondo, una visione completamente diversa di fare pittura. Con il MM ho voluto tentare, forse maldestramente, di fondere materia e figurativo, ricreando ambienti da propaganda sovietica, usando anche ai limiti del plagio, autori come Rodchenko. Credo ci sia molto strutturalismo nell’opera. Ho anche voluto dare una patina ingiallita anni trenta.

Riccardo si è occupato di biografie importanti come quella di Adriano Olivetti o del calciatore del Torino Gigi Meroni, personaggi che a loro modo e nel loro ambito avevano una visione del mondo, come lo scrittore di Kiev. Qui sembra aver compiuto un’azione catartica e liberatoria
Meroni è stato un atto di fede, calcistica soprattutto (ride, ndr), in quel caso ho avuto la fortuna di incontrare Marco Peroni che, con amore e delicatezza senza pari, mi ha accompagnato in questo viaggio. Lo stesso Marco mi ha convinto a lavorare su Olivetti di cui conoscevo per sommi capi quella straordinaria realtà che si è sviluppata a Ivrea in quegli anni. La visione olivettiana di comunità credo sia troppo avanti nei tempi, anche ai giorni nostri. Questo lavoro è stato impegnativo e difficile. Ho impiegato del tempo prima di decidere come portarlo avanti, alla fine ho optato per un registro completamente anarchico, ho lasciato fare al caso. La sceneggiatura è quasi inesistente, ho preferito un approccio più emotivo, in parte istintuale. Forse ne va della sintesi narrativa, ma ho voluto prendermi questa libertà.

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