«Il made in Italy? Solo marketing»
Intervista Jean Baptiste Mallet: alcuni industriali usano la buona reputazione del cibo italiano per vendere prodotti di pessima qualità
Intervista Jean Baptiste Mallet: alcuni industriali usano la buona reputazione del cibo italiano per vendere prodotti di pessima qualità
Jean-Baptiste Malet ha passato due anni sulle tracce del pomodoro industriale. L’autore in alcuni casi ha dovuto celare la sua identità di giornalista per ottenere le informazioni e svelare gli scandali.
Quali sono state le principali difficoltà che hai incontrato?
La principale difficoltà di un’indagine nell’universo agroalimentare è sapere cosa sta accadendo nelle fabbriche, alle quai è difficile accedere. Le informazioni sono rare, quelle fornite da statistiche doganali, flussi, turnover a volte sono confuse e ci vuole molto tempo per ricavarne qualcosa di affidabile. Molti degli industriali che ho incontrato mi rendevo conto che stavano mentendo, ma starli ad ascoltare era un modo per arrivare ad altre figure. Fra le tante cose che mi hanno colpito, vedere i bambini nei campi dello Xinjiang raccogliere pomodori che poi vengono lavorati in fabbrica e acquistati dalle grandi multinazionali dell’agrobusiness. Come anche scoprire i falsi conservifici cinesi che tagliano il concentrato di pomodoro destinato all’Africa con sostanze diverse dal pomodoro.
L’italia è uno dei paesi più significativi di questo circuito, e qualcuno si è molto infastidito al punto da diffidare la casa editrice Piemme, del gruppo Mondadori, che ha deciso di ritirare il libro dalle vendite. Che cosa è successo?
Qualche mese fa la casa editrice italiana mi ha informato di una diffida da parte della Giaguaro, impresa italiana di Salerno fra i colossi della filiera mondiale del pomodoro. Nel libro parlo di una serie di casi giudiziari e inchieste che hanno riguardato questa azienda, una delle quali fa riferimento all’esistenza di un deposito di conserve di pomodoro nei pressi del comune laziale di Montalto di Castro dove la polizia aveva trovato un milione di scatole di conserva da 500 grammi, l’equivalente di 500 tonnellate di merci. Quelle latte piene non presentavano né etichetta né data di scadenza. All’esterno del deposito, inoltre, si trovavano 1.500 barili di concentrato di pomodoro da 220 kg, ossia più di 310 tonnellate di merci. Il concentrato brulicava di larve e vermi e in seguito alle analisi richieste dalla procura di Civitavecchia venne dichiarato inadatto al consumo e pericoloso per la salute. Secondo gli inquirenti, la merce era di origine cinese. Nel mio testo non viene specificato che per questa vicenda la Giaguaro è stata assolta, ed è questo il motivo per cui il libro è stato attaccato dall’azienda.
Come si è arrivati alla decisione di ritirare il libro?
La Piemme mi ha messo di fronte al fatto compiuto e non ha chiesto la mia opinione. Ho scoperto per caso che il libro era scomparso dal sito web della casa editrice, ma non sono mai stato ha avvertito del suo ritiro. Dopo molti tentativi via telefono ed e-mail per ottenere delle spiegazioni, ho finalmente ricevuto una e-mail dal mio editore. Secondo la casa editrice non era opportuno andare in tribunale. Personalmente avrei preferito affrontare la giustizia italiana piuttosto che assistere a quella che ritengo una censura del mio libro, che non contiene errori fattuali. Il fatto che la Giaguaro sia stata assolta non fornisce risposte a una serie di fatti, come quello di tenere dentro un suo deposito milioni di confezioni di conserva di pomodoro senza etichetta. Non avrei mai immaginato che la Mondadori arrivasse a ritirare il libro. È stato fatto senza il mio consenso e questa la ritengo un’onta. Ho comunicato all’avvocato della Mondadori la mia disponibilità a modificare il testo dell’edizione italiana, ma anche che in nessun modo avrei accettato di eliminare le pagine relative alla Giaguaro. Io sono un giornalista indipendente. La mia inchiesta non è finalizzata a discreditare le imprese italiane. La mia non è un’inchiesta sulla Giaguaro. È un affresco sul flusso mondiale del concentrato di pomodoro e il capitalismo.
In che cosa si manifesta l’importanza dell’Italia nel mercato mondiale del pomodoro industriale?
L’Italia è la culla storica e tecnologica della lavorazione industriale del pomodoro. Nella storia dell’industria globale, compete con la Heinz, il più grande acquirente di pomodori industriali nel mondo dall’inizio del XX secolo. I commercianti di Parma erano in grado di rifornire la Heinz. Durante la politica agraria del fascismo, l’autarchia verde, l’industria agro-alimentare è stata strutturata e sviluppata al fine di raggiungere l’obiettivo dell’autosufficienza. Nel dopoguerra l’Italia aveva la migliore tecnologia di processamento dei pomodori e ha venduto questa tecnologia in tutto il mondo. Ancora oggi l’Italia rimane un must nel settore globale: esporta molti pomodori industriali, a volte esporta ciò che importa, cioè il concentrato cinese o californiano rielaborato nella fabbrica del sud Italia. Gli italiani nel loro mercato interno hanno nel complesso un buon prodotto, ma ciò che vendono agli europei o agli africani può essere molto lontano da questa qualità. Succede che alcuni industriali usano la buona reputazione della gastronomia italiana per vendere prodotti di pessima qualità, che poi influenzano la reputazione dei prodotti italiani nel mercato globale. Abbiamo lo stesso problema con la pasta, l’olio d’oliva: l’Italia esporta molto, ma importa anche molti ingredienti. Il Made in Italy nel settore agroalimentare oggi rispecchia quella che è la globalizzazione capitalista: vendere al consumatore un prodotto dove la definizione di «autentico» non è reale ma solo marketing.
Nel libro a proposito dell’Italia riporti i dati dell’antimafia che indicano che l’agricoltura è pesantemente infiltrata dalle attività della criminalità organizzata: come questo si riflette sull’industria del pomodoro?
Avviene in forme diverse. Può essere la falsa etichettatura «San Marzano» per pomodori pelati o falso biologico. A volte sono circuiti complessi di riciclaggio di denaro, anche se il conservificio fornisce un buon prodotto. Poi, naturalmente, c’è il caporalato, che i lettori purtroppo conoscono molto bene. Dura da decenni ma la lotta contro questo fenomeno è stata finora solo di facciata. I politici italiani, sia di destra che di sinistra, hanno gettato parole al vento. Diversi anni fa un senatore pugliese, Dario Stefàno, aveva proposto una legge che sarebbe stata in grado di risolvere definitivamente il problema: il principio di corresponsabilità di tutto il settore. La distribuzione di massa e gli industriali devono essere considerati responsabili di tutto ciò che si svolge nel settore del pomodoro e in generale in tutta l’agricoltura. Se una confezione di pelati è frutto di schiavitù e viene commercializzata in un supermercato, il marchio dovrebbe essere perseguito per complicità nella tratta di esseri umani. Ciò costringerebbe gli attori economici ad organizzare controlli reali su ciò che commercializzano. Invece si accontentano dei loro certificati che attestano che tutto è in ordine. Dobbiamo cambiare le regole, farla finita con questa pazzia ideologica del libero scambio assoluto e imporre maggiore trasparenza e maggiore controllo.
Qual è stato l’impatto della tua inchiesta in altri paesi?
L’inchiesta è stata tradotta in Germania, Spagna, Giappone, presto anche lo sarà anche a Taiwan. In Francia il libro è stato selezionato per il premio Albert Londres 2018, il più importante riconoscimento giornalistico francese. Non ho avuto altri problemi, a parte il fatto che la Giaguaro ha fatto pressione anche su France Television a proposito di reportage che la riguardavano e che ha chiesto venissero rimossi dagli archivi on-line. Fortunatamente la tv pubblica francese non ha ceduto.
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