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Il luogo della nostra libertà

In una parola Le donne stanno reagendo. E si capisce che aumenti tra loro, come è stato detto, una diffidenza di fondo per l’altro sesso. Penso però che l’opposizione a questa reazione riguardi profondamente noi uomini

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 23 ottobre 2018

Ho partecipato – lo scorso 13 ottobre – all’incontro proposto dal Gruppo delle femministe del mercoledì alla Casa internazionale delle donne di Roma, Luoghi di libertà, di cui ha scritto su queste pagine Alessandra Pigliaru.

Luoghi di libertà: i tanti spazi, Case, librerie, centri antiviolenza, circoli culturali, artistici e filosofici, dove le pratiche politiche e il pensiero del femminismo hanno dato vita a una rete di relazioni, di invenzioni e di azioni nel segno di una nuova libertà delle donne. Realtà oggi minacciate dall’incuria e da scelte di istituzioni che sembrano incapaci di riconoscerne il valore per tutte e tutti.

C’era solo un altro maschio, se non ho visto male. Un vecchio amico, Marco (venuto apposta dal lontano Veneto), che ha firmato con me e una trentina di altri uomini un testo in cui ci diciamo convinti che questi luoghi, dove siamo stati spesso ospiti e interlocutori, parlano anche alla nostra libertà.

Un tema tornato in molti interventi è stato il nesso – sempre più chiaro – tra la reazione conservatrice, anzi distruttrice direi, che minaccia in Italia e in molti paesi il senso stesso della democrazia, e una revanche apertamente maschilista e patriarcale. Una reazione evidente contro l’intrusione dei corpi estranei dei migranti, additati quale capro espiatorio di tutto quello che non va nei nostri ricchi e malati luoghi della città e dello spirito, ma ancora più radicalmente e oscuramente avversa alla libertà femminile.

Le donne stanno reagendo. E si capisce che aumenti tra loro, come è stato detto, una diffidenza di fondo per l’altro sesso. Penso però che l’opposizione a questa reazione riguardi profondamente noi uomini. E non solo perché siamo democratici, liberali o di sinistra. Perché non ci piacciono i Trump, gli Orban e i Salvini. Ma proprio in quanto maschi. La cultura di questi “Capitani” che si affacciano sulla scena del mondo è di una terribile miseria. Scommetterei che si tratti di un sintomo di disagio e di debolezza. Dell’incapacità di trovare un luogo per sé in un contesto completamente cambiato, che produce spaesamento, perturbamento.

Parlare di una debolezza non vuol dire sottovalutare i rischi molto alti di questa situazione. Proprio la debolezza può produrre la violenza più brutale. È già successo nella storia contemporanea che lo smarrimento di sé di culture prettamente maschili abbia prodotto catastrofi immani.

Può risuccedere. (Mi ha colpito ascoltare giorni fa da un politico assai misurato, Paolo Gentiloni, parole preoccupate sul possibile precipitare di una nuova grande guerra).

Con Marco, tanti altri amici e amiche – alcune delle quali presenti alla Casa delle donne – abbiamo molto discusso in passato sulla possibilità di una nuova alleanza tra uomini e donne, sorretta da modalità diverse di vivere l’amore, il conflitto, la cura, il desiderio, la politica.

È una cosa molto difficile. Non siamo ancora riusciti a farla esistere e emergere chiaramente. Quelli di noi che la desiderano e sono impegnati a realizzarla, a volte tendono a vedere soprattutto le resistenze femminili. Credo che conti anche, anzi di più, il fatto che è facile accomodarsi da parte maschile in una posizione di secondarietà. Una specie di passività: come ha simpaticamente detto Viola Lo Moro parlando di sé di fronte alla complessità della situazione attuale, un “intorpidimento del corpo e del pensiero”.

Ma se crediamo che questa alleanza possa essere il luogo della nostra libertà, la via per concepire e vivere una civiltà più felice, coraggio cari fratelli di sesso: un passo avanti, oltre ogni torpore.

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