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Il lungo spot di Trump e l’imbarazzo dei network Usa

Il lungo spot di Trump e l’imbarazzo dei network Usa

Ai confini della realtà Nonostante i momenti «horror», in cui descriveva i cruenti crimini commessi da migranti illegali, Trump non è riuscito a presentare un’argomentazione per lo shutdown credibile al di là della cerchia dei suoi sostenitori abituali

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 12 gennaio 2019

Almeno (non ci sono cifre per lo streaming) 40 milioni di americani, martedì sera, si sono seduti davanti a una tv per guardare il discorso alla nazione di Donald Trump. Un indice d’ascolto che gli avrebbe fatto gola persino ai tempi d’oro di The Apprentice (28 milioni uno dei picchi del suo reality) e, per chi è stato testimone dei nove minuti in diretta dall’ufficio ovale, l’ennesimo sospetto di essere imbottigliati in una specie di surreale crepuscolo della democrazia.

Il presidente degli Stati Uniti «chiude» il governo per un capriccio e poi «invade» d’ufficio la programmazione di prima serata dei maggiori network tv (Abc, Cbs, Nbc, Fox hanno aderito; per reti all news sarebbe stato comunque normale trasmettere una cosa del genere), come il dittatore di uno stato libero di Bananas, con uno spot propagandistico extra large. Riservato all’annuale Stato dell’unione, il discorso dall’ufficio ovale è un espediente cui i presidenti ricorrono in occasioni rare – l’11 settembre, la morte di Bin Laden, una comunicazione sull’Isis… Diversamente da quando il presidente appare per un’intervista in un newsmagazine (dove purtroppo Trump è ancora considerato una gallina dalle uova d’oro, per cui nessuno nega una sua apparizione), interrompere la programmazione regolare di prima serata par far posto alla comunicazione presidenziale è per le Tv non un guadagno ma una considerevole perdita finanziaria in inserzioni pubblicitarie.

Non a caso, non sempre la richiesta della Casa bianca viene accordata, come successe nel 2014 a Barack Obama, tra l’altro proprio per un discorso sul tema dell’immigrazione.
Il fatto che la richiesta di Trump, effettuata lunedì, dopo che lui aveva già comunque annunciato che avrebbe fatto un discorso via Twitter, sia arrivata nel mezzo dello shutdown del governo (che coinvolge 800.000 lavoratori e una buona fetta del servizio pubblico) metteva indubbiamente alle strette i direttori di rete. Dietro alle quinte, pare che la decisione sia stata difficile – la manipolazione mediatica è l’asso nelle manica di Trump, le bugie il suo pane quotidiano: perché offrirgli l’opportunità di raccontarne di più, strumentalizzando un pulpito così «solenne» e con un’audience praticamente garantita di decine di milioni di spettatori?

Accolta con costernazione da molti (incluso il columnist mediatico del «New York Times», James Poniewozik), la scelta dei network è stata, alla fine, un sì riluttante. L’imbarazzo e la preoccupazione così evidenti che il «Washington Post» ha pubblicato un fact checking preventivo del discorso, al buio, ore prima che venisse effettuato.

Alla fine, probabilmente, le preoccupazioni di sono rivelate eccessive. Non solo Trump non ha detto nulla di nuovo – il formato del discorso preconfezionato, letto su un teleprompter da dietro alla scrivania, non si addice al suo stile, tarato sui comizi e sull’artificiale progressione drammatica della reality Tv. Nonostante i momenti «horror», in cui descriveva i cruenti crimini commessi da migranti illegali (immagini che portavano il marchio di Steve Miller, a corroborare statistiche fasulle), Trump – rosso, gli occhi più porcinamente stretti del solito e un inquietante respiro pesante che si sfogava nel microfono – non è riuscito a presentare un’argomentazione per lo shutdown credibile al di là della cerchia dei suoi sostenitori abituali (Fox News ha registrato i rating più alti di tutti i canali, con 8.2 milioni di spettatori) – il pubblico per cui sta effettivamente governando.

Il «discorso» è stato un flop, anche televisivamente parlando. Diciamoci quindi che questa volta è andata bene. Ma la prossima? I media Usa, le televisioni in particolare, non hanno ancora trovato il modo di gestire efficacemente Trump. Le regole continua a farle lui.

giuliadagnolovallan@gmail.com

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