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Il lunedì di Dresda

Moscow Mule C’è un elefante nel salotto tedesco che si chiama Afd, un Ministro dell’interno bavarese da disinnescare e sullo sfondo un movimento nato nel 2014, Pegida, che si batte contro “l’islamizzazione […]

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 21 luglio 2018

C’è un elefante nel salotto tedesco che si chiama Afd, un Ministro dell’interno bavarese da disinnescare e sullo sfondo un movimento nato nel 2014, Pegida, che si batte contro “l’islamizzazione della terra dei padri” (Patriotische Europäer Gegen die Islamisierung Des Abendlandes). Poi ci sono Daniel Heimann, un imprenditore con le mani in pasta nella lobby “Pro Patria Pirna”, Rene Jahn, ex cofondatore di Pegida, e Sabine Ban, ragazza madre di un figlio autistico: tre dei tanti che si riuniscono il lunedì a Dresda, il “lunedì di Pegida”. La documentarista sassone Sabine Michel nel suo “Merkel must goMontags in Dresden” segue per un anno il privato quotidiano dei citati tre protagonisti. Un lavoro molto divisivo, accusato di aver fornito l’ennesima piattaforma ai razzisti, omettendo qualsiasi forma di contradditorio (ma l’arte non è quella cosa che è meglio non sia anestetizzata dalla presenza di “contradditorio?”). Sabine Michel non giustifica né condivide ma registra, cerca di capire, su una rotta parallela, il seme del successo dell’Afd alle ultime elezioni politiche, quando Pegida sembrava quasi uscita di scena. Eppure, i protagonisti parlano per sé; la regista ribadisce di averli scelti accuratamente e di non aver voluto fare un ritratto politico. Sabine, Daniel, Rene, precisano di non odiare nessuno, di non essere neonazisti, e si dissociano da ogni atto criminale compiuto da altri simpatizzanti del movimento (ad esempio l’attacco alla Moschea Fatih Camii di Dresda nel settembre 2016). In mezzo, tuttavia, resta la questione bollente dell’integrazione, la grande paura di perdere sé stessi, la sbornia della classe media impoverita che abbraccia un estremismo “soft” cucito su misura. Il senso di perdita evocato dal documentario e tirato fuori dalla cantina è quel sentimento per noi di difficile comprensione: le ferite dell’Est, il non detto della riunificazione tedesca e la tradizione di una città molto conservatrice. È dunque vero che l’Ost resta appiccicato alla suola delle scarpe? Forse, comunque non per tutti. Sabine Ban, figlia di immigrati ungheresi, è troppo giovane per ricordare la vita al di là del Muro eppure molti, cresciuti nella DDR, non hanno battuto ciglio quando sullo schermo la ragazza mostra le sue incredibili e paranoiche scorte alimentari in cantina: “Non si può mai sapere, ci potrebbe essere una guerra civile” dice, mentre ripone sullo scaffale chili di carta igienica. Rene Jahn borbotta mentre legge le istruzioni d’uso su un detergente per la vasca da bagno, ah l’industria pubblicitaria! La regista conosce bene il background storico, è nata a Dresda e al mondo dopo la DDR ha dedicato altri lavori tra cui il ritratto privato di alcune amiche in “Zonenmädchen” (2013). Non mancano i momenti tragicamente comici: Sabine Ban legge passi del Corano sostenendo la necessità di modificarne i precetti, Daniel Heimann, intimo di Götz Kubitschek (intellettuale e attivista della “Neue Rechte” nonché uno dei principali oratori delle manifestazioni di Pegida), porta a passeggio il suo alano Pilatus e rifiuta l’idea di una società sempre più multietnica: la grande bugia del sistema democratico. “Se vogliamo capire”, dice la regista “non possiamo mettere sotto il tappeto queste persone, far finta che non esistano”. È stata Pegida a cambiare la Germania?

 

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