Il 14 agosto 1996 il Governo argentino sanciva la Ley del Tango como parte integrante del Patrimonio Cultural Argentino. Tra i suoi articoli l’obbligo per «gli organismi dello Stato nazionale incaricati della promozione e della diffusione della cultura e del turismo all’estero» di «includere nei loro programmi e nei loro materiali informativi riferimenti alla Repubblica Argentina e al tango, come una delle espressioni culturali tipiche del paese». Due anni dopo, il 14 dicembre 1998, avvertendo nelle risoluzioni nazionali il rischio di uno strisciante processo di espropriazione, anche il Governo della Città di Buenos Aires promulgò una omologa Ley del Tango, dichiarandolo parte integrante del Patrimonio Cultural de la Ciudad e impegnandosi a promuoverlo ad ogni livello. Tra le numerose iniziative si prevedeva l’istituzione della Fiesta Popular del Tango, da celebrarsi ogni anno durante il Día Nacional del Tango, che con gli anni diverrà il fiore all’occhiello delle amministrazioni cittadine, fino a trasformarsi nell’attuale Festival Buenos Aires Tango, oggi unito al Campeonato Mundial de Baile de Tango, che da ieri, fino al 27 agosto, convertirà la capitale argentina in un vero e proprio luna park del tango stellare.
Intanto però la battaglia sotterranea tra Buenos Aires e la Nazione per la gestione della paternità e dell’eredità del tango doveva cominciare a fare i conti con le proiezioni esterne. Da tempo in tutto il mondo proliferavano concorsi, festival, congressi e incontri internazionali, che se da un lato contribuivano ad alimentare il mito, dall’altro costituivano una minacciosa opzione sui suoi futuri sviluppi artistici ed economici. Nel 1995 per esempio furono istituite le Cumbres Mundiales del Tango: eventi periodici organizzati alternativamente in diverse città del mondo, rivendicativi di un’idea di sovraterritorialità che immagina «il Paese del Tango come un “arcipelago di città di paesi diversi”», giudicando «del tutto legittimo che artisti di città lontane dalla culla porteña di Buenos Aires e Montevideo possano interpretare e ricreare il tango, non come la mera copia di una cultura aliena, bensì come una maniera genuina di esprimere la propria esperienza urbana».

Tale tensione è risultata evidente nell’edizione 2011 del Campeonato Metropolitano de Baile de Tango, istituito a Buenos Aires nel 2002, che è stata annullata mediante intervento giudiziario per l’ipotesi di «incostituzionalità» del regolamento, a seguito della denuncia da parte di numerose coppie di ballerini stranieri che, sia pur residenti da più di tre anni nella capitale argentina, si sono visti negare il diritto a partecipare al popolare concorso. Una norma, secondo il giudice, prevaricante dei diritti degli stranieri residenti nella Capital Federal, e per questo discriminatoria, in nome della trascendenza universale dell’arte. Tutti d’accordo invece nel rispolverare un progetto di legge approvato dalla Camera dei Deputati nel dicembre del 2008, che giaceva inerte in attesa di completare l’iter burocratico. Nel novembre del 2009 il Senato approvò la Ley de Protección del bandoneón, mirata a contrastarne la «scandalosa fuga all’estero». Tra le disposizioni principali, il divieto di uscita dal paese degli strumenti costruiti da più di quarant’anni, con l’eccezione di motivate esigenze artistiche da parte dei legittimi proprietari, e l’istituzione del registro ufficiale di tutti i bandoneon presenti sul territorio. Dall’entrata in vigore della legge, chiunque decida di vendere uno strumento d’epoca ha l’obbligo di notificarlo alla Secretaría de Cultura de la Nación, poiché ora lo Stato, le Province e i Municipi detengono il diritto di prelazione sull’eventuale acquisto.
Attualmente si calcolano circa sessantamila bandoneon in giro per il mondo, di cui ventimila in Argentina. A parte la paradossale pretesa di bloccare alle frontiere lo strumento simbolo dell’emigrazione europea in Argentina, è interessante registrare l’entusiasmo popolare per la legge e la particolare fermezza manifestata in proposito da numerosi cittadini, indignati da tempo per la facilità con cui i turisti riuscivano a portasi via i vecchi strumenti grazie al maggior potere d’acquisto delle rispettive valute. Un’indignazione di gran lunga superiore a quella mostrata da molti per la svendita in pochi anni da parte dello Stato di circa quarantacinque milioni e mezzo di ettari di terra argentina a ricchi investitori stranieri, a volte «al prezzo di un hamburger per ettaro».
Secondo stime del Ministerio de Producción di Buenos Aires nel 2012 le attività legate al tango hanno generato un fatturato di circa 290 milioni di dollari. Un processo che negli ultimi dieci anni, a partire dalla crisi argentina del 2001 e della svalutazione del peso, ha convogliato nella capitale milioni di turisti. Gran parte di questi giunge dall’estero attraverso viaggi organizzati per partecipare a tour tematici di tango con pacchetti all inclusive comprendenti soggiorno, lezioni di ballo, spettacoli, visite a negozi di scarpe e di abbigliamento, lussuose cene a base di «gamberetti sottaceto, carpaccio e crème brûlée di dulce de leche», innaffiate da champagne e allietate dall’immancabile esibizione di ballerini e musicisti, come nel caso di un famoso hotel di Puerto Madero, tra le zone più ricche della città, che dal 2005 propone ogni sera uno degli spettacoli di tango più cari ed esclusivi, vibrante di «amore, passione, follia e glamour», come vanta il menu. In qualunque angolo della città il turista viene assalito da una miriade di volantini, riviste e cartoline che promuovono negozi di scarpe e di abbigliamento per ballerini, lezioni di tango-zen, shiatsu-tango, tango-reiki, yoga-tango e pilates para tango, fino ad arrivare agli originali laboratori esclusivi di lunfardo per ballerini. Ogni anno sono circa centocinquantamila le persone che si iscrivono a corsi di tango. Nella sola Buenos Aires si contano circa centoventi locali tra milonghe e caffè tematici e trecento scuole di ballo aperte tutti i giorni ininterrottamente. Se nel 2006 gli spettatori del Festival Mundial de Tango erano circa centomila, a distanza di sei anni, nell’arco delle due settimane di programmazione della scorsa edizione hanno raggiunto la rilevante quota di circa cinquecentomila.
«Il tango è la soia di Buenos Aires», queste le eloquenti parole di Mauricio Macri, primo cittadino di Buenos Aires, a evidenziare il potenziale business ancora da sfruttare in una città in cui, secondo stime ufficiali, nel primo semestre del 2010 la spesa dei turisti stranieri è stata di circa un miliardo di dollari. Un boom turistico che nel dicembre 2010 raggiungerà il risultato record di più di dieci milioni di visitatori, di cui circa tre milioni stranieri. Il giudizio di Macri è condiviso da Hernán Lombardi, ministro della Cultura cittadino, presidente dell’Ente Turismo di Buenos Aires e responsabile del progetto tango Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Lombardi, già ministro della Cultura, Turismo e Sport della Nazione all’epoca della crisi economica del 2001, ma soprattutto ex direttore alberghiero e abile imprenditore turistico, ha anche affermato elegiaco che «dal punto di vista qualitativo il tango esprime l’idea di una passione ancora viva in un mondo desolato, dove l’umanità sta perdendo l’umanesimo». Considerazioni in sintonia con le teorie più innovative della moderna scienza psicologica argentina, secondo la quale il tango «non è l’atto sessuale, bensì l’evocazione della sessualità. Una metafora, come tutta l’arte, un corteggiamento con tutta la sua coreografia. È qualcosa di terapeutico per definizione, perché recupera la sensualità nelle relazioni umane, nei vincoli» come sostiene Alfredo Moffat nel prologo al libro di Monica Peri e Ignacio Lavalle Cobos Psicotango (Buenos Aires, 2010). Tra i benefici connessi alla regolare pratica del tango vi sarebbero la riduzione del colesterolo, dello stress, dell’ipertensione, della depressione, dell’aggressività, della rabbia, dell’ansia e dell’angoscia e nel contempo un aumento dell’autostima e delle funzioni mnestiche grazie alla liberazione di ormoni come l’ossitocina, «l’ormone dell’amore», e le beta endorfine. Considerando che «l’abbraccio può generare una sensazione di protezione e contenimento», danzare il tango produrrebbe «una sensazione di tranquillità e benessere, simile a quella che si prova stando con la persona amata» e, attraverso «l’entusiasmo e l’ottimismo», collaborerebbe «al mantenimento di una vita sessuale piena». Tesi esposte anche a Rosario nel 2008, durante il I Congreso Internacional de Tangoterapia.
Oltre alla psicologia, anche la medicina ha detto la sua. Basandosi sui risultati di una ricerca condotta attraverso test comparati volti a misurare specifici valori respiratori e cardiaci, il cardiologo Roberto Peidro e l’andrologo Ricardo Edgar Comasco avrebbero scoperto che i ballerini di tango ottengono risultati positivi paragonabili a quelli ottenuti svolgendo i propri esercizi in palestra sul tapis roulant.
A dar man forte ai romanticismi psicanalitici e alle prospettive avanguardistiche dei moderni seguaci di Ippocrate, nel 2006 l’Instituto Nacional de Promoción Turistica, creato l’anno precedente con compiti di indirizzo e coordinamento generale tra pubblico e privato per meglio competere sul mercato globale delle esportazioni, del turismo e degli investimenti, con tocco pragmatico ha investito il tango del ruolo di «ambasciatore della Marca País», sfruttandone l’indubbia capacità di evocare ipso facto l’Argentina agli occhi del mondo. Insomma, trasformandolo ufficialmente in «una diversità che crea valore», come recita il portale internet dell’Istituto.

Duecento festival, più di duemila accademie di ballo, un migliaio di milonghe in tutto il mondo per un giro di affari annuo di quasi tre miliardi di dollari, secondo il quotidiano La Nación. Dal punto di vista tecnico non si è mai ballato così bene come oggi. Un rinnovato interesse che da tempo spinge i coreografi delle più note compagnie internazionali a inserire il tango nei loro spettacoli. Dalle scuole giapponesi e colombiane giungono alcune tra le coppie vincitrici delle più prestigiose competizioni di ballo, così come emergono nuovi virtuosi del bandoneon. Per tre lustri, tra il 1995 e l’inizio del 2011, il canale televisivo Sólo Tango ha raggiunto le case di milioni di abbonati in tutta l’America Latina, in parte dell’Europa, in Giappone e in Cina. Dal 1985 la piccola cittadina di Seinäjoki, in Finlandia, durante il mese di luglio arriva a triplicare la sua popolazione, passando da cinquantasettemila abitanti a oltre centocinquantamila grazie all’affluenza di ballerini da tutto il mondo nel corso del Festival Tangomarkkinat. Nel frattempo Buenos Aires continua a proiettarsi sulla scena internazionale come «mecca del tango».
In realtà però, al di là degli allettanti turgori del business, sotto il profilo dell’arte la crisi è drammatica. Per circa trent’anni, tra il 1920 e il 1950, grazie ad autori come Enrique Cadícamo, Enrique Santos Discépolo, Homero Manzi, i fratelli Homero e Virgilio Expósito, il tango si è ripetutamente avvicinato alla poesia. I loro testi sono stati il canto della città, il poema esistenziale dei milioni di individui che si muovevano per le strade di metropoli come Buenos Aires, Rosario, Montevideo. Per molti anni il tango ha interpretato la vita, i sogni, gli orientamenti politici, le dinamiche sociali, le passioni, i sentimenti e i desideri di generazioni di immigrati lungo le rive del Río de la Plata. Non esiste argomento della vita quotidiana che non sia stato affrontato.
Come sostiene Osvaldo Natucci, musicalizador storico di El Beso, una delle più prestigiose milongas di Buenos Aires, il tango nella sua forma tradizionale ha ormai detto tutto quello che aveva da dire. Per questo il tango-canzone oggi non esiste più. Da molto tempo ha perduto l’originaria attitudine a scavare nel profondo della società, a specchiarsi nelle sue esigenze. Gli autori che oggi cercano di farlo rivivere, adattando le antiche sembianze ai tempi attuali, spesso si limitano a imitare modelli di poesia semplicemente anacronistici, ottenendo risultati del più sterile manierismo. Negli ultimi decenni Buenos Aires, Montevideo e Rosario sono cambiate. I ritmi di vita, le condizioni di lavoro, i consumi culturali degli abitanti e dei nuovi immigrati non sono più gli stessi. Con la morte di Homero Manzi ed Enrique Santos Discépolo, avvenuta a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro, nel 1951, a parte rare eccezioni i parolieri non sono riusciti a rinnovarsi e hanno finito per perdere il loro tocco magistrale, la capacità di dialogare con la città, finendo a volte per diventare i fantasmi di se stessi.
Secondo un inguaribile nostalgico come il celebre poeta di tango Enrique Cadícamo, un uomo che ha attraversato un secolo intero, nato nel 1900 e scomparso nel 1999, «il tango bisogna lasciarlo come sta. È una cosa nostra. È impossibile parlare di un tango che verrà». Le parole di Cadícamo trovano eco in quelle del poeta e musicista Fabián Cerezo: «Nonostante tutto credo che il tango non sia morto. Continua a vivere nelle milonghe, antiche o moderne, popolari o turistiche che siano, nelle librerie, nei negozi di dischi, nelle edicole, anche su internet, in attesa di qualcuno che vada a scongelarlo e a goderselo. Il tango continua ad essere ascoltato, suonato, cantato, ballato, criticato. Ci piaccia o no continua ad occupare un posto importante nella vita di noi porteños». (…). A essere morta è in realtà proprio quella vita sociale e culturale che lo rese possibile: il tango delle milonghe e dei conventillos, nella loro dimensione agglutinante o come punti di incontro. Tutto questo già non esiste più e credo che mai più potrà tornare». Anche il grande bandoneonista Rodolfo Mederos ha un atteggiamento problematico: «Il tango attraversa uno stato catalettico. Fu sepolto vivo e adesso ne sentiamo i singulti. Però il peso delle macerie è tanto e non sappiamo come disotterrarlo». Ottimista in tal senso Ricardo Baldou, grande pianista di tango e storico speaker di Radio Nacional Argentina, che in un pomeriggio dell’autunno del 2008, in un bar del centro di Buenos Aires, diceva: «Il tango ha espresso finora solo un 5% delle sue potenzialità. Resta ancora un 95% di margine per la creazione». Bene. Tuttavia la possibilità di dare nuovo senso e imprimere una diversa direzione a un genere che, nella consapevolezza degli interpreti più avvertiti, ha esaurito le risorse di un lungo percorso strettamente legato alle sue origini storiche è una questione che non ha ancora trovato soluzione.
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