Cultura

Il linguaggio radicale

Il linguaggio radicaleVlado Martek, «La Quarta prosa», 2015

Mostre «La Quarta Prosa», presso Laura Bulian Gallery di Milano, a cura di Marco Scotini, propone per la prima volta in Italia le ricerche del russo Dmitry Prigov, dell’uzbeko Akhunov, dell’azerbaigiano Babi Badalov e del croato Vlado Martek, tutti attivi nel campo della poesia visiva

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 4 febbraio 2016

Poemi-oggetto, collage polimaterici, taccuini manoscritti e opuscoli auto-prodotti sono raccolti nella collettiva La Quarta Prosa, ospitata da Laura Bulian Gallery a Milano, nella sua nuova sede ai Frigoriferi Milanesi (visitabile fino al 25 marzo).
Una mostra rara e necessaria dove il testo stampato è messo in discussione, contestato e indagato in tutti i suoi tanti aspetti performativi. Vengono presentate per la prima volta in Italia le ricerche del russo Dmitry Prigov, dell’uzbeko Akhunov, dell’azerbaigiano Babi Badalov e del croato Vlado Martek, artisti che, pur appartenendo a generazioni e aree geografiche diverse, operano nell’ambito della poesia visiva con opere in cui l’eccellenza estetico-formale non è mai aliena da riflessioni di carattere sociale e politico.

Babi Badalov è orgoglioso del suo tatuaggio con il ritratto di Pasolini e dell’opera I am Pasolinist in cui il suffisso «ist» è inteso come «east» perché lui, nato in Azerbaigian nel 1959, si sente il Pasolini dell’Est. Compone neologismi assurdi, giochi di parole inattesi, frasi grammaticalmente scorrette che contamina con la manipolazione di materiali pittorici per riflettere su eventi storici recenti e passati come la Primavera Araba, le migrazioni, la situazione dei Balcani, la caduta del Muro di Berlino. Babele linguistica che testimonia il suo nomadismo intellettuale ed esistenziale, dall’Azerbaigian si è spostato a San Francisco, New York e ora a Parigi, e quella di altri migranti dell’Est.

Archivi del sabotaggio
Artista, scrittore e filosofo, Vyacheslav Akhunov (classe 1948) realizza performance, installazioni, video e saggi teorici. Utilizza testi e immagini della propaganda, sabotandoli dall’interno, sovrapponendo alle immagini di monumenti e di leader sovietici slogan ripetuti come fossero mantra, facendogli così perdere completamente il senso originario. Il suo interesse per le religioni orientali (sufismo, buddismo e taoismo) differenzia il suo lavoro da quello degli altri concettuali moscoviti come Erik Bulatov, Leonid Sokov, Komar e Melamid, Aleksandr Kosolapov, Dmitry Prigov, suoi compagni di strada nel corso degli anni ’70.

«Akhunov decostruisce le forme retoriche delle immagini di propaganda per comporre archivi in cui presenta più storie allo stesso tempo. I piccoli fogli dei suoi taccuini -, sottolinea il curatore della mostra Marco Scotini – possono essere interpretati come grandi affreschi epici, corali, archeologici alla maniera di Foucault, anche se sono stati realizzati da un individuo piuttosto isolato, che voleva sottrarsi». Sottrazione cercata, perché vivendo a Tashkent è sempre stato lontano dalla scena artistica moscovita, e autoimposta, visto che per la sua attività artistica gli è negato il visto di uscita dal paese, tanto che il settimanale Der Spiegel il 28 marzo del 2014 ha scritto di lui come di un prigioniero politico. Divieto che gli ha impedito di essere presente ad alcune sue mostre internazionali tra cui la 55/ma Biennale di Venezia, dove esponeva nel Padiglione dell’Asia Centrale, e Documenta 13.

Cartografia di nomi
Poeta, disegnatore, performer, videomaker, attivista, provocatore, Dmitry Prigov (1940-2007) è stato un artista instancabile e uno dei maggiori esponenti del concettualismo moscovita. Si è servito di parole emblematiche per creare un atlante storico e una nomenklatura composta da nomi che hanno segnato la storia e l’immaginario collettivo. La parola scelta (ne ricordiamo solo alcune come Glasnost, Urss, Lenin, Bukharin, Stalin, Sacharov, quest’ultima utilizzata dall’artista nel momento in cui il fisico veniva riabilitato da Gorbaciov dopo il confino) è disegnata a grandi dimensioni su una pagina del quotidiano Pravda, il principale strumento di propaganda del regime. Un modo per annullarne i contenuti originali, creare nuove connessioni semantiche e mostrare i riferimenti iconografici di Prigov con la tradizione del costruttivismo russo primo novecentesco e le ricerche formali di Malevic.

Considerato dissidente per la sua attività artistica e intellettuale fu arrestato dal Kgb per la sua performance Public Service Appeal nel 1986. Costretto a un trattamento psichiatrico obbligatorio, fu liberato in seguito alle proteste di artisti nazionali e internazionali guidati dalla poetessa Bella Akhmadulina. Il suo attivismo ha permesso a individui attivi in ambiti diversi — letteratura, arte, politica — di creare sinergie e situazioni collettive. Molte le performance realizzate negli ultimi anni della sua vita con il Prigov Family Group (fondato insieme al figlio e alla cognata) e con il gruppo Voina. Il riconoscimento internazionale avviene a fine anni ’80; tante le mostre personali e le collettive tra cui Documenta 8 nell’87, le lecture in Università americane, europee e giapponesi, e l’assegnazione del Pushkin Prize nel 1993, conferitogli dalla fondazione tedesca Alfred Toepfer.

I «samizdat»
Artista visivo, poeta, scrittore e performer, Vlado Martek, nato nel 1951 a Zagabria, dopo essere stato membro del «Gruppo dei 6» ha realizzato dipinti e installazioni per indagare nuove forme di poesia radicale. Ha ripreso la tradizione delle Samizdat, forme di distribuzione clandestina di testi (riguardanti temi di carattere diverso: artistico, filosofico, religioso) censurati dalle autorità governative in Unione Sovietica e nei paesi sotto la sua influenza. Libri di piccole dimensioni, i 22 samizdat da lui auto-prodotti dai primi anni ’80 sono composti da collage, testi, disegni e foto per creare inedite relazioni tra immagini e testi. Sono scritti a mano o con la macchina da scrivere per essere poi fotocopiati e distribuiti tra artisti e letterati.

Il titolo della mostra La Quarta Prosa è un omaggio al testo omonimo scritto nel 1930 dal poeta russo Osip Mandel’stam. Opera circolata come samizdat e pubblicata in Unione Sovietica solo nel 1988 a cinquant’anni dalla morte del poeta in un campo di transito di Vladivostok, dove era stato condannato a cinque anni di lager per attività controrivoluzionaria e per i versi antisovietici da lui composti.

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