Girando per l’Italia, due sono le sensazioni per l’avventura appena iniziata della Lista per l’Altra Europa con Tsipras: la difficoltà e la fatica (di raccogliere le firme, ma anche di contemperare diversità e vecchie ruggini) e l’entusiasmo per un’iniziativa che ha rimesso in gioco energie e speranze per una sinistra senza aggettivi e per un suo ritorno al parlamento europeo dopo cinque anni di assenza. C’è innanzi il tremendo ostacolo con cui ci si è confrontati – e che sembra sulla via di soluzione – della raccolta delle firme: raccoglierne 3mila in Valle d’Aosta e 15mila in Sicilia è una richiesta palesemente incongrua, ingiusta e vessatoria verso chi cerca di percorrere la strada di una rappresentanza politica nuova. La posta in gioco poi non è semplicemente il risultato elettorale (superare la soglia del 4% non sarà semplice), ma riaprire il dibattito e una iniziativa su uno spazio politico a sinistra del Pd non subalterno e residuale.

Per chi avesse – anche dentro Sel – guardato nei mesi scorsi soprattutto all’evoluzione interna del Pd dev’essere ormai chiaro che l’ipotesi di fare la quarta o quinta corrente di sinistra dentro il Pd (oltre ai civatiani, dalemiani, bersaniani, giovani turchi, ecc) non ha alcun senso politico: è una strategia condannata al fallimento dal “nuovismo conservatore” di Matteo Renzi. Anche nella ipotetica ricostruzione di un rapporto – dinamico e conflittuale – con il Pd, l’esistenza di una forza di sinistra autonoma, irriducibile alle larghe intese e radicalmente opposta alla logica dell’austerità e del fiscal compact diventa un passaggio fondamentale da percorrere sino in fondo. Renzi, nel suo eclettismo decisionista e velocista, mescola confusamente qualche buon proposito tutto da vedere (come il taglio dell’Irpef) nelle non indifferenti modalità di erogazione con la continuazione della precarizzazione del mercato del lavoro come risposta alla domanda di lavoro: la più classica e vergognosa delle ricette liberiste che scarica sulla solitudine della persona la responsabilità di un’occupazione qualsivoglia dove il lavoro è svalutato.

Se la Lista per l’Altra Europa dovesse ottenere un buon risultato, nulla sarà come prima e nessuna forza politica che a questo risultato ha contribuito potrà pensare di coltivare la propria autosufficienza. Bensì dovrà essere capace, con generosità e prendendo l’iniziativa, di costruire un campo più largo e plurale, percorrendo strade nuove. Non certo quelle della vecchia sinistra arcobaleno o dei vecchi cartelli – reducisti e minoritari – di piccoli partiti e forze ormai consumate in questi ultimi quattro anni che hanno cambiato tutto nel panorama politico e sociale.

Se, come ha detto più volte Nichi Vendola il tema non è quello del partito, ma della partita, quella da giocare dopo il 26 maggio – se la Lista Tsipras avrà un risultato – è di prendere l’iniziativa, e non subirla, per mettersi al servizio della costruzione di un campo della sinistra senza aggettivi. Una sinistra soggetto del governo del cambiamento, radicalmente alternativo alle larghe intese e alle “piccole patrie” generate dalla crisi della sinistra, in grado di aggregare chi è colpito dall’austerità. Quelle larghe intese e quell’austerità che hanno segnato la subalternità di una parte della sinistra europea (come ricordato anche da Schulz) alle ricette di un conservatorismo tecnocratico che – provocando depressione economica, impoverimento e diseguaglianze – ha impedito un’uscita della crisi nel segno del lavoro, dell’eguaglianza e di un nuovo modello di sviluppo.

In questo senso vanno pensate anche le relazioni con il Movimento 5 stelle. Non si tratta né di farne degli “intoccabili della politica”, né di imbastire operazioni politiciste, sperando di staccare qualche pezzo di gruppo parlamentare. Occorre parlare direttamente a chi (moltissimi vecchi elettori della sinistra) ha votato per i 5 Stelle e in secondo luogo assumere i temi, anche con maggiore radicalità, che sono alla base di quel movimento.

La strada giusta, in Italia come in Europa, è quella presentata qualche giorno fa a Bruxelles dall’incontro della Rete europea degli economisti progressisti (Euro-pen): fine dell’austerità, superamento della precarietà, democratizzazione delle istituzioni europee, promozione di un new deal sociale ed ecologico, regole dei mercati finanziari. E’ in gioco il superamento delle politiche neoliberiste e con esse della tenaglia tecnocrazia-populismo che ha stritolato in questi anni la politica democratica, la sovranità popolare, la rappresentanza, il lavoro.