Il legame mutevole di epidemia e stigma
Metamorfosi / 11 Come è cambiata, in oltre 40 anni, la presa di parola pubblica su Hiv e Aids. In un saggio collettivo edito di recente per Eris, il significato oggi in Italia di «siero-coinvolgimento» e le sue implicazioni. È grazie all’attivismo che in questi anni il linguaggio sul tema evolve, il lessico guadagna cognizione di causa e le narrazioni assumono forme diverse dal passato. C’è anche chi con il virus non vive ma sa che esiste e se ne protegge con una profilassi che, però, è stata concepita e sperimentata per i maschi escludendo a priori le donne
Metamorfosi / 11 Come è cambiata, in oltre 40 anni, la presa di parola pubblica su Hiv e Aids. In un saggio collettivo edito di recente per Eris, il significato oggi in Italia di «siero-coinvolgimento» e le sue implicazioni. È grazie all’attivismo che in questi anni il linguaggio sul tema evolve, il lessico guadagna cognizione di causa e le narrazioni assumono forme diverse dal passato. C’è anche chi con il virus non vive ma sa che esiste e se ne protegge con una profilassi che, però, è stata concepita e sperimentata per i maschi escludendo a priori le donne
Le parole sono capaci di condensare interi percorsi di metamorfosi culturale: in un solo neologismo (una parola nuova) possono addensarsi esperienze di lunga durata, scontri di idee, scelte e prospettive sulla realtà sociale. Prendiamo un esempio: sierocoinvolgimento è una parola che di recente è traboccata dall’ambito medico – dove indicava la presenza di anticorpi nel sangue di una persona e dunque la risposta immunitaria a un virus – all’attivismo dove il termine non sta a indicare solo chi vive con il virus dell’Hiv o con la malattia dell’Aids ma anche chi a vario titolo si attiva per la cura, la prevenzione, la diffusione di informazioni e pratiche di salute sessuale consapevoli per sé e per la collettività.
È grazie a loro che il linguaggio su questo tema evolve, il lessico guadagna cognizione di causa e le narrazioni assumono forme fortunatamente ben diverse dal passato: si pensi a quando, oltre quarant’anni fa, il New York Times cominciava a parlare dello «strano cancro degli omosessuali» e il discorso pubblico confinava il rischio, e la stigmatizzazione connessa, a omosessuali, emofiliaci, tossicodipendenti e haitiani (le famigerate quattro H, in inglese) lasciando erroneamente intendere che chiunque altro poteva ritenersi immune e senza responsabilità.
ANCHE SE negli ultimi anni ben altri virus lo hanno soppiantato nell’attenzione dell’opinione pubblica, l’Hiv continua a esistere così come chi ci vive e chi si impegna per una corretta informazione, per la prevenzione e per una vita libera dallo stigma. L’Hiv sembrava un tema passato d’attualità quando nel 2019 Jonathan Bazzi affidava al suo romanzo autobiografico Febbre il racconto frontale di un’agnizione (la propria sieropositività) riattraversando retrospettivamente tutte le tappe di una vita ancora giovane ma che tramite la scrittura prendeva forma e rielaborava il trauma, il dolore, il senso di vergogna, la violenza dei rapporti sociali: «Voglio rimanere là dove sta il dolore, per frammentarlo con le parole e fargli fare un po’ meno male». Il libro partiva da sé per una più ampia denuncia purtroppo sempre necessaria di omofobia e sierofobia.
Perché dopo quarant’anni L’epidemia non è ancora finita, come recitava il titolo del catalogo e della mostra organizzata nel 2021/22 dal MUCEM di Marsiglia. L’epidemia non è solo un fenomeno medico, è anche una questione di egemonia culturale, di cose dicibili e no, comprensibili e no. Se nella sua storia il virus è mutato velocemente, tanto dal punto di vista medico quanto da quello sociale, lo stesso si può dire delle vite di chi vi è entrato in contatto e delle (auto)narrazioni che ne sono nate in letteratura, al cinema e nelle arti in generale, diventate veicolo di consapevolezza e denuncia (da cui la parola artivismo, ovvero fare attivismo mediante le arti).
Raccontare l’Hiv tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, sulla scorta di una cultura politica della visibilità post-Stonewall e con l’urgenza di rivelare gli effetti devastanti della malattia e del silenzio colpevole dei governi è ben diverso che farlo oggi dopo l’avvento delle triterapie e nell’epoca dell’U=U.
DAL 2014, infatti, sappiamo che le persone con Hiv in terapia e con carica virale non rilevabile non trasmettono il virus ed è diffondere questa informazione l’imperativo oggi. Sulle narrazioni conta poi anche la parte del mondo e il contesto socioeconomico da cui provengono, l’accesso ai test e agli strumenti profilattici così come alle terapie. Basti pensare che attualmente sono circa dodici milioni le persone nei paesi a basso reddito condannate a morte da case farmaceutiche che impongono prezzi altissimi per farmaci salvavita il cui costo di produzione è irrisorio. Diverso è anche l’impatto che il virus ha avuto sulla libertà sessuale prima e dopo l’avvento della cosiddetta PrEP, ovvero la profilassi pre-esposizione che nel nostro paese è gratuita dall’aprile 2023.
Di tutto questo e di quel che significa al giorno d’oggi in Italia il siero-coinvolgimento tratta un agile saggio collettivo uscito di recente per Eris e intitolato Sierocoinvolt*. La rivoluzione sessuale riparte dall’HIV (il titolo lo scriviamo con l’asterisco per via dei limiti del nostro sistema editoriale ma in realtà si tratta di una schwa). Al di là della desinenza che scavalca il genere grammaticale, oltrepassando l’opzione o maschile o femminile per dire l’uno e l’altro o né l’uno né l’altro, il titolo indica soprattutto un cambio di prospettiva su Hiv/Aids e invita a riflettere sulle metamorfosi della presa di parola su questo tema e sui soggetti che parlano e a cui si parla. Il libro è infatti curato collettivamente dal gruppo di artivismo Conigli Bianchi e da PrEP in Italia che hanno voluto riunire in queste pagine un coro di soggetti diversi provenienti da varie città per dare una visione ampia e diversificata del fenomeno oggi da Nord a Sud.
UN PO’ SAGGIO DIVULGATIVO con rigoroso glossario annesso su quel che c’è da sapere (trasmissione del virus, gravidanza, farmaci antiretrovirali, tipi di test, chi e come prescrive o somministra la PrEP…) un po’ raccolta di testimonianze, il libro è un viaggio di Alice nel Paese delle Meraviglie in cui ogni tappa è un incontro e ogni incontro porta con sé una storia, un’avventura, una scoperta dal magico mondo del sieroattivismo. C’è chi convive con il virus dalla nascita, c’è chi l’ha incontrato per caso e chi lo ha persino cercato. C’è anche chi con il virus non vive ma sa che esiste e se ne protegge con una profilassi che, però, è stata concepita e sperimentata per i maschi escludendo a priori le donne, come se queste non potessero avere una vita sessuale che le espone a rischi.
Il capitolo «Storia di un’ostinazione» è forse tra i più sconvolgenti del libro. Racconta difficoltà e pregiudizi affrontati dalla protagonista nel momento in cui ha deciso di richiedere la famigerata pillola blu: «Mi ci è voluto qualche mese prima che le infettivologhe si convincessero a farmi i test per valutare la mia situazione renale e dare il consenso per la terapia. Mi rendevo conto che era più una questione di pregiudizio di genere, non rientravo nella categoria a cui era destinata la PrEP, non ero un maschio cis gay. Per non parlare dell’assordante silenzio da parte delle reti femministe.
Si dedicava infatti molto tempo a discutere di Ivg, di malattie invisibili, di violenza medica, ma nessuna parlava di PrEP, del fatto che se hai un utero devi assumere la terapia tutti i giorni e che questo aumenta in modo vertiginoso i costi rendendolo a pieno titolo un farmaco classista.
LA PREP PER ALCUNE PERSONE può anche essere un dispositivo di protezione, quando sono sottoposte a violenza domestica continua e dunque impossibilitate a negoziare barriere di protezione, che insieme alla pillola anticoncezionale permette un minimo di autodeterminazione all’interno di un abuso. Non si parlava nemmeno della carenza di studi sulle interazioni tra fluidi vaginali e antiretrovirali. Quando questo silenzio diventerà un boato?».
È questa una prospettiva del tutto nuova che si apre grazie al coraggio di chi rimette in discussione radicalmente e in modo anche destabilizzante le norme di genere. Ma è proprio osando sovvertire gli assunti che può emergere qualcosa di nuovo e, speriamo, di buono. Parlare dunque di sierocoinvolgimento è un’estensione a tutto campo della responsabilità di informarsi e agire; presuppone l’idea che l’Hiv, l’accesso alla prevenzione e la possibilità di una vita libera dallo stigma riguarda potenzialmente chiunque al di là del genere e dell’orientamento sessuale. In questo senso chiunque di noi è sierocoinvolt*.
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