Il leader a un passo dalle dimissioni. Ma non basta per unire le minoranze Pd
Democrack Il segretario tenta il contropiede anche per stoppare la possibile sfida di Andrea Orlando
Democrack Il segretario tenta il contropiede anche per stoppare la possibile sfida di Andrea Orlando
Le voci delle dimissioni di Renzi si infittiscono. Il tentativo di far decollare la richiesta di congresso anticipato a furor di social alla fine si è rivelato un mezzo flop: l’hashtag #famostocongresso è rimasto confinato alla fascia ormai sempre più ristretta dei fedelissimi. Alcuni dei quali giurano che lunedì Renzi metterà la direzione Pd di fronte a un bivio: o elezioni subito o congresso anticipato. Voci raccolte anche dal sito Unità.tv: la reggenza del partito passerebbe a Matteo Orfini, uno degli ultimi gappisti del segretario, per avviare – in sintonia con lui – da aprile la fase congressuale e arrivare alle primarie già ai primi di maggio.
Data ormai per impraticabile la strada del voto a giugno, anche la precipitazione verso il congresso non gode di grandi consensi fra senatori e deputati. Ma gli equilibri della direzione sono ben diversi da quelli dei gruppi parlamentari. Dei 160 componenti (120 eletti dall’assemblea più 20 personalità scelte dal segretario e 20 sindaci), le minoranze contano poco più di una ventina di voti. È difficile che, prese in contropiede dal colpo di teatro del segretario, le aree dei ministri Franceschini e Orlando, pur in grande travaglio interno, si sottraggano alle sue indicazioni.
Le minoranze stanno messe anche peggio. Neanche i tamburi di guerra renziani riescono unire le anime delle sinistre interne al Pd, non meno divise di quelle ’fuori’. Marciano divise e rischiano di colpire divise. E di fallire l’obiettivo numero uno: battere Renzi.
Oggi e domani le minoranze si vedranno a Firenze per provare «rivoli e fiumiciattoli», «i treni e i trenini che stanno partendo», spiega Francesco Laforgia, organizzatore dell’iniziativa «Per fare un fuore». L’ex cuperliano ormai passato a ’Consenso’ di Massimo D’Alema farà incontrare – nel corso di una due giorni – Roberto Speranza, Enrico Rossi e Michele Emiliano, e cioè due candidati e mezzo al congresso, dove il ’mezzo’ è Emiliano che a differenza degli altri due non ha (ancora) annunciato la sua corsa. L’intenzione di Laforgia e compagni è convincere tutti gli antirenziani «a un progetto più ambizioso». Difficile che riesca. Più volte il presidente della Toscana Rossi ha espresso la sua determinazione a non farsi indietro.
Da ultimo ma non ultima c’è la variabile Andrea Orlando. Che in questi giorni si è fatto avanti. Viene indicato come l’erede degli ex Pci ed il prescelto dall’ex presidente Napolitano. Potrebbe convincere i bersaniani. E persino i franceschiniani. Ma Orlando è un giovane uomo prudentissimo. Difficile che si lanci in un’avventura congressuale con i tempi troppo stretti ed immediati. Che non a caso Renzi potrebbe imporre.
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