Cultura

Il lavoro al centro della bussola da ritrovare. Anche oltre il voto

Il lavoro al centro della bussola da ritrovare. Anche oltre il voto

Indagini "Il mestiere della sinistra" di Stefano Fassina, con un commento di Mario Tronti, per Castelvecchi. È di questo che, tra qualche giorno, bisognerà parlare: non della ricetta per il futuro della sinistra che ciascuno di noi ha in testa, ma delle regole e delle forme organizzate attraverso cui tutte queste «ricette» possano trovare un modo per confrontarsi e costruire insieme una qualche proiezione nella realtà

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 23 settembre 2022

È bene parlare proprio ora, a pochi giorni dalle elezioni, del recente libro di Stefano Fassina (Il mestiere della sinistra. Nel ritorno della politica, con un commento di Mario Tronti, Castelvecchi, pp. 142, euro 15). È bene farlo ora, perché dopo rischierebbe di essere sommerso dalla valanga di discorsi che accompagneranno l’esito del voto.

E INVECE, il libro di Fassina è bene tenerlo sul tavolo, e a lungo, e sarà molto utile quando – vedremo in che forma e in che misura – la sinistra avrà comunque il compito di tornare a fare il suo «mestiere». Si dovrà tornare a parlare di questo libro in modo più ampio, ma intanto è giusto segnalarlo qui subito, come uno dei contributi alla discussione che ci sarà, ci dovrà essere.

Il lavoro di Fassina e articolato in otto brevi capitoli che vogliono ricordare i cardini di una visione che rende la sinistra propriamente tale: «il lavoro prima di tutto». La perdita della bussola del lavoro ha finito per rendere subalterna la sinistra, o incapace di reagire, ad un processo di svalutazione (non sono economica, ma anche culturale e identitaria) del lavoro: un processo che ha contribuito ad acuire le disuguaglianze. E poi i grandi temi della politica internazionale, il significato e le implicazioni della guerra in Ucraina, il senso da dare al nostro «europeismo consapevole».

E, infine, come intendere e interpretare il bisogno di «protezione» politica, sociale e ambientale, i termini con cui oggi si pone il classico tema delle alleanze sociali, ossia l’individuazione dei riferimenti sociali a cui la sinistra primariamente deve rivolgersi («l’arcipelago» del lavoro subordinato, in tutte le sue forme); e la necessità di riportare in primo piano anche la dimensione ideale: una «storia da scrivere per il neo-umanesimo laburista e ambientalista».

IL LAVORO DI FASSINA è un altro ottimo esempio di come, a sinistra, non sono pochi coloro che continuano a riflettere, a produrre analisi, ad elaborare possibili risposte politiche e programmatiche; ma, anche da questo lavoro, emerge un drammatico problema, o forse un paradosso, a cui probabilmente anche l’esito delle elezioni ci porrà di fronte. Per dirla in breve, le possibili idee (da porre alla base di una sinistra che torni a fare il suo mestiere) non mancano e non mancherebbero (anche se, ovviamente, non fa mai male continuare a chiarirsele e a produrne di nuove); ma quel che manca è un soggetto politico organizzato che sappia cogliere quanto di meglio oggi proviene dalla cultura teorica e dalla ricerca intellettuale che guarda e parla alla sinistra.

Idee che sappiano costituire una strumentazione concettuale, un «bagaglio», in grado stare nel presente, e di «far presa» sul presente; principi ideali, analisi e conoscenze in grado di farsi cultura politica diffusa e poi anche «senso comune», in grado di contrastare l’egemonia di una cultura reazionaria che ha saputo conquistare i modi di pensare anche di tanta parte dei ceti popolari di questo paese.

E DUNQUE BISOGNERÀ finalmente metter mano (specie se l’esito delle elezioni obbligherà a farlo) all’opera di ricostruzione di una sinistra che oggi, come scrive Fassina, pur essendo «diffusa e attiva», appare però «sparsa e intermittente, carsica, dispersa, rifluita». Il giudizio di Fassina è molto severo, su quanto accaduto alla sinistra dopo l’Ottantanove: le risposte della destra, da Trump alla Brexit, vincono perché appaiono come «l’unica alternativa possibile. L’unica zattera, raggiungibile dalla cabina del voto, per evitare alle periferie sociali di affogare. La sinistra storica e le sinistre post-’68 sono inutilizzabili. Anzi, sono riconosciute, anche oltre il dovuto, come colpevoli».

Fassina ha ragione, e da questo giudizio bisogna ripartire: le forme organizzative di cui oggi avremmo bisogno sono assenti o drammaticamente deboli; e quand’anche, come accade e come deve accadere, abbiamo analisi valide del presente e buone idee per il futuro, manca il luogo e mancano gli strumenti per trasformare quelle analisi e quelle idee in elementi di un’azione politica collettiva, diffusa e persuasiva. È di questo che, tra qualche giorno, bisognerà parlare: non della ricetta per il futuro della sinistra che ciascuno di noi ha in testa, ma delle regole e delle forme organizzate attraverso cui tutte queste «ricette» possano trovare un modo per confrontarsi e costruire insieme una qualche proiezione nella realtà.

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