ExtraTerrestre

Il laborioso ronzio delle api operaie che ci salva la vita

Il fatto della settimana L’utilità delle api va ben al di là della loro capacità di produrre miele. Tutelare questo insetto significa prendersi cura dell’ecosistema e del genere umano

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 17 maggio 2018

Quale animale più dell’ape ha il potenziale di trovare corrispondenze tanto precise nella nostra società moderna? Laborioso e dalla vita organizzata gerarchicamente, capace di grandi opere nonostante le piccole dimensioni, questo insetto assomiglia all’uomo sotto molti aspetti. In anni recenti purtroppo però le scelte che abbiamo imposto all’ecosistema in campo agricolo, politico ed economico hanno fortemente compromesso il nostro e il loro ambiente naturale e sociale. È un danno arrecato a un alleato prezioso, perché l’utilità delle api va di gran lunga al di là della loro capacità di produrre miele. Gli insetti pronubi sono tra i più efficienti impollinatori del pianeta: favoriscono la conservazione della biodiversità e rendono possibile la fecondazione del 70% delle piante commestibili; basti pensare che in un chilo di miele ci sono fino a 150mila chilometri di volo. L’Unione Europea recentemente ha stabilito che il servizio di impollinazione ha un valore economico stimato in 153 miliardi di euro/anno su scala planetaria, 1,5 solo in Italia: un’immensa forza lavoro gratuita che stiamo mettendo «fuori occupazione».

I numeri dicono infatti che una maggiore tutela dell’animale è necessaria. Limitandoci all’ambito locale, gli alveari in Italia sono più di un milione, ma la mortalità negli ultimi anni va ben oltre il 5-10% fisiologico. «Le nostre stime – spiega Giorgio Barracani, vice presidente di Conapi – arrivano a un 30-40%». L’insieme della cause è un mix di fattori legati a utilizzo di pesticidi, ibridazione delle specie ed erosione di un territorio verde di qualità: «Il danno della moria delle api è duplice: non solo per la produzione del miele (nel 2017 in Italia c’è stato un calo dell’80% per la varietà acacia rispetto all’anno precedente, fonte Osservatorio Nazionale Miele, ndr). Si è arrivati al punto che gli agricoltori, per garantire l’impollinazione delle piante, sono costretti a introdurre le cosiddette «api a perdere», popolazioni senza regina utilizzate specificatamente per questo scopo», sottolinea Barracani.

In tema di pesticidi le ultime notizie sono positive: a maggio l’Unione Europea ha deciso per il bando definitivo all’aperto dei tre più diffusi neonicotinoidi (imidacloprid, clothianidin e thiamethoxam). L’Italia ha votato a favore della proposta di divieto insieme ad altri 15 Paesi. Tra i contrari invece l’Ungheria, che con 8,5 milioni di kg di miele è il primo importatore nel nostro paese. Lo stop ai tre pesticidi sarà applicabile dalla fine di quest’anno. La vittoria per il mercato italiano del miele è però solo parziale: alle quantità che arrivano dalla Cina (3 milioni di kg) è consentito di aggirare le norme previste in Italia ed Europa. Per una reale efficacia delle misure di contrasto ai pesticidi il bando europeoandrebbe esteso alla totalità dei neonicotinoidi utilizzati nell’UE e anche ai prodotti importati.

Un pericolo meno intuitivo per la conservazione delle api arriva dall’ibridazione delle specie: «Negli ultimi trent’anni gli apicoltori hanno selezionato le varietà di api più docili e produttive – spiega Fontana, entomologo presso la Fondazione Edmund Mach – e in una certa misura questo è un atteggiamento comprensibile dal punto di vista dell’operatività: si ottiene più miele e si lavora con api meno aggressive. Ma si può anche andare incontro a problemi inaspettati». In particolare api troppo docili possono diventare facile bersaglio di predatori come vespe e calabroni, oppure di parassiti: «Sono state selezionate api talmente mansuete da non sapersi difendere da questi pericoli». E mentre gli apicoltori europei si prendono cura dei propri alveari colpiti dall’acaro Varroa, arrivato dall’est Asia, quelle selvatiche non sopravvivono. Oggi le varietà di api nostrane si sono mescolate a tal punto tra di loro da non avere più caratteristiche peculiari adatte alla sopravvivenza in luoghi specifici: «L’ape mellifera non è un animale domestico, perché non si può selezionare il cibo di cui si nutre e non si può decidere con chi farla riprodurre» – prosegue Fontana. Per esempio: «Le api regina che si accoppiano con fuchi che vengono da lontano possono generare ibridi meno adatti, rispetto alla popolazione locale originaria, a un determinato clima. In questa mescolanza abbiamo perso variabilità e capacità di sopravvivenza». E pensare che alcune specifiche varietà di api, anche italiane, sono state e sono tuttora molto richieste all’estero: «A Kangaroo Island, in Australia, è ancora vigente un editto della Regina Vittoria – spiega Barracani – che stabilisce che solo l’ape italiana può essere importata sul territorio. Cento anni fa gli apicoltori del nostro Paese vendevano negli Stati Uniti le api regina a un dollaro d’oro l’una, tale era il loro valore».

Infine anche la sottrazione del territorio utile alle api incide fortemente sulla loro diffusione. Non è solo la piaga del cemento a colpire: le grosse monocolture e perfino l’aumento della superficie boschiva a discapito dei prati contribuiscono al problema. La soluzione, che in alcuni paesi europei le amministrazioni favoriscono con incentivi economici, è la varietà nelle colture e l’introduzione nei grandi appezzamenti di biodiversità a livello di flora. Il timo per esempio è tra le piante preferite dalle api, una verità che affonda le proprie radici addirittura nella mitologia greca. La narrazione vuole infatti che Zeus bambino fu nascosto dalla madre Rea in una grotta per sottrarlo al padre Crono, il quale voleva divorarlo. Fu nutrito, oltre che dal latte della capra Amaltea, da un miele di timo prodotto dalle api cretesi: «Ci sono varietà di piante particolarmente amate dalle api come salici, noccioli e poi anche i girasoli stessi, il rosmarino. Se vogliamo favorire la varietà bisogna iniziare una vera e propria guerra dei fiori», conclude Fontana. L’introduzione di quote di piante selvatiche nelle grandi monocolture, il sovescio (coltivazione e aratura in loco di piante che servono alla concimazione del terreno stesso), la creazione di verde pubblico bee-friendly sono tutte azioni che hanno contributo a iniziare il rovesciamento di una situazione critica. Qualcosa si può fare anche nel giardino di casa nostra: lasciare crescere un semplice prato fiorito invece della varietà all’inglese può aiutare le api, e quindi noi stessi, ad avere un ambiente più vivibile.

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