Visioni

Il jazz di Mary Halvorson, chitarra d’avanguardia

Il jazz di Mary Halvorson, chitarra d’avanguardiaMary Halvorson – foto di Nicola Malaguti

Live L’associazione 4’33” - che l'ha ospitata per una doppia esibizione - ammira giustamente non solo il talento esecutivo della quarantaduenne musicista americana ma anche quello come leader che propone sempre nuove formazioni e idee.

Pubblicato più di un anno faEdizione del 14 marzo 2023

A Mantova Mary Halvorson è ormai una habitué. L’associazione 4’33” ammira giustamente non solo il talento di chitarrista della quarantaduenne musicista americana ma anche quello come leader che propone sempre nuove formazioni e idee. Due recenti album di Halvorson, entrambi per la Nonesuch, la mostrano impegnata in due diverse direzioni: in Belladonna col quartetto d’archi Mivos, e in Amaryllis col suo sestetto, a cui in alcuni brani si aggiunge lo stesso Mivos. E domenica 4’33” è riuscita nell’impresa di offrire in un nuovo appuntamento con Mary Halvorson entrambe queste prospettive, unica data a farlo in un nutrito tour europeo: in collaborazione con la rassegna MetJazz di Prato, dove Halvorson si è poi esibita ieri sera, nella prima parte del concerto ha fatto ascoltare Halvorson con il Mivos, e nella seconda, in esclusiva per l’Italia, col sestetto di Amaryllis.
La logica del suo lavoro è creare brani dove lo strumento non è in primo piano

HALVORSON, che ha studiato alla Wesleyan University con Anthony Braxton, e ha poi spesso lavorato nei suoi piccoli gruppi, è considerata la più importante e creativa chitarrista affermatasi nell’ambito dell’improvvisazione e del jazz d’avanguardia nel nuovo millennio, ed è capace con la sua chitarra di una presenza espressivamente anche molto perentoria: ma a Mantova in tutti e due i set ha mantenuto un sobrio understatement. La logica del suo lavoro con il Mivos è proprio quella di creare delle composizioni in cui fondamentalmente la chitarra non è in primo piano e non è «accompagnata» dal quartetto, ma, con interventi scritti o improvvisati, è «dentro» l’insieme, organicamente in rapporto con gli archi, sia che ne assecondi il movimento, sia che determini degli scarti: i brani hanno un fluido respiro melodico, e solo a tratti diventano più inquieti e nervosi.

OPERAZIONE pregevole, elegante, ma decisamente più appassionante è apparso il sestetto con cui Halvorson è tornata sul palco nel secondo set, un nuovo gruppo che dopo le diverse configurazioni di Code Girl degli anni scorsi conferma la mano felice della chitarrista nell’allestire e guidare i propri gruppi. Con Adam O’Farrill, tromba, Jacob Garchik, trombone, Patricia Brennan, vibrafono, Nick Dunston, contrabbasso, Tomas Fujiwara, batteria, Halvorson propone una musica luminosa, con una forte inclinazione melodica, musica sempre molto controllata e ordinata, con esposizione dei temi, a volte molto cantabili: ma siamo anni luce lontani da un jazz mainstream, l’intelligenza delle soluzioni ritmiche, la bellezza delle atmosfere, il piglio dei brani – vuoi funky, vuoi epico, vuoi cameristico – e il feeling dei soli, rendono il sestetto estremamente coinvolgente. Toccanti il lirismo e la delicatezza di un omaggio al compianto Wayne Shorter, con un suo brano, Lady Day. Quando 4’33” riproporrà Mary Halvorson, il pubblico di questa domenica, entusiasta, non mancherà di tornare. Tra i prossimi appuntamenti il 16 maggio un altro protagonista di punta dell’avanguardia, il sassofonista James Brandon Lewis con il suo nuovo trio.

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