Il gusto popolare delle chiocciole
Gastronomia «Un piatto, una vita - 46 storie toscane» di Luca Caioli e Bruno Signorini, edizioni Distillerie. La gastronomia di un tempo tra le case volterrane
Gastronomia «Un piatto, una vita - 46 storie toscane» di Luca Caioli e Bruno Signorini, edizioni Distillerie. La gastronomia di un tempo tra le case volterrane
C’è un fantasma bon vivant in giro per Volterra. Non è una comparsa della serie tv I Medici (appena terminata di girare in Piazza dei Priori) e neppure un turista straniero a caccia di Sangiovese o Ciliegiolo bensì un pezzo di storia cittadina, una trattoria che non c’è più, Lo Sgherro, situata nel cuore di Borgo San Giusto, tra la Chiesa e le Balze, cuore dell’antifascismo, luogo di ritrovo di anarchici, proletari e sovversivi, citata pure da Carlo Cassola in un racconto. Sognando e ragionando su quella indimenticata tradizione gastronomica, Luca Caioli e Bruno Signorini, scrittori e cultori del patrimonio popolare locale, hanno deciso di concentrarsi sul far da mangiare in casa e sugli abitanti dell’antica città etrusca, oggi comune di diecimila abitanti.
È NATO COSÌ Un piatto, una vita – 46 storie toscane (Distillerie, pp.110, euro 12) dove l’ex carcerato e il tatuatore, la cameriera e la poliziotta e tanti altri – persone normali dai 20 ai 93 anni, lontane dai canoni di Masterchef o guide Michelin – raccontano la personale nascita del gusto per il cibo e di come hanno appreso a cucinare, insieme con uno spaccato della loro vita, tra scelte professionali e figli lungamente desiderati, lavori precari e irregolari ognigiorno di più e la necessità di reinventarsi daccapo come rielaborando un piatto con gli avanzi della sera prima. Di ognuno c’è una bella foto grande in bianco e nero, merito di Andrea Borghini, sapiente nell’uso di ombre ed espressioni, per afferrare l’animo – ora triste ora curioso ora dinamico – dei personaggi.
UOMINI E DONNE col loro piatto preferito nell’infanzia, quello attuale e descrivono come lo preparano. «Quando il mio compagno, la sera, rientra dal frantoio con il primo fiasco di olio novo, siamo tutti lì con la fetta di pane, pronti per assaggiarlo (Fettunta, Sabrina Castri). «A me piace fare le pappardelle con la testa di cinghiale. Per prima cosa c’hai da spellarla. Bel coltellino fine, chiappi la pelle, la tiri e ci impazzisci già. Non ti deve fare schifo ovviamente, perché ti conci come un maiale. Poi devi scarnire la testa, che sembra una cosa facile….» (Pappardelle sul cinghiale, Luca Pini). «Si va a fa’ chiocciole alla prima acquata di giugno e quando il grano ha fatto la spiga. Lo diceva mio nonno Olinto. Significava che a quel momento dell’anno la chiocciola aveva fatto il guscio. Babbo Guido e io andavamo a far chiocciole quando l’acquata veniva nel pomeriggio perché se poi usciva il sole, le chiocciole si rintanavano dove avevano trascorso inverno e primavera…» (Chiocciole alla volterrana, Gabriele Gazzarri).
UN’ANTOLOGIA DELLA CUCINA popolare toscana, fatta di ingredienti poveri, legata al territorio – zuppa, pici, cacciagione, trippa, fagioli, stoccafisso – pensata per nutrire, realizzata con la passione per il buon cibo, condividendo il piacere di stare riuniti a tavola in questa piccola comunità con una forte vita sociale tanto da restituire i sapori di una volta, le pietanze irraggiungibili dello Sgherro attraverso i discorsi degli alabastrai e dei venditori ambulanti, dei ragazzi dei circoli Arci e dei produttori di salumi doc. La preparazione quotidiana del cibo serve a dire chi siamo e da dove veniamo, ripetendo gesti e ricette tramandate da intere generazioni quando si faceva tutto in casa, dal pane alla pasta ai sughi, lasciati cuocere per ore e ore nei grandi tegami sulla cucina a legna, con una densa cortina fumogena dove potevi intravedere gli spettri di Velathri e i tuoi antenati («mi raccomando senti sempre l’odore, è fondamentale in cucina»), ricordando le agognate merende con pane vino e zucchero.
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