Il «Guardian» cede l’«Observer», la crisi liberal della carta
Media Pronta ad acquistare il più antico domenicale del Regno unito la start-up Tortoise Media, anch’essa in perdita. Negli anni ’50 si distingueva per la copertura delle nefandezze (post)coloniali
Media Pronta ad acquistare il più antico domenicale del Regno unito la start-up Tortoise Media, anch’essa in perdita. Negli anni ’50 si distingueva per la copertura delle nefandezze (post)coloniali
Lo scoop lo ha rivelato martedì Sky News, un tempo costola del torace mediatico di Murdoch: dopo esser stato oltre trent’anni parte del gruppo del «Guardian» (Guardian Media Group, Gmg) l’«Observer», il più antico dei giornali della domenica britannici – fondato nel 1791, mentre dalla Manica si irradiava la grande peur rivoluzionaria e gli aristocratici inglesi si accarezzavano nervosamente il collo tutto il giorno – sarà venduto/svenduto/ceduto all’agenzia di «slow news» Tortoise Media. L’amministratore delegato di Gmg, Anna Bateson, l’ha definita «un’entusiasmante opportunità strategica». La testata ha 70 dipendenti il cui futuro è ora in bilico.
PRONTA a impegnare un investimento di 25 milioni di sterline nei primi cinque anni della sua proprietà del titolo, Tortoise Media è un una start-up fondata nel 2019 da James Harding, ex direttore di Bbc News e redattore del «Times», e Matthew Barzun, ex ambasciatore degli Stati uniti nel Regno unito, tanto per situarla politicamente. Come molte di queste operazioni, nasce da un «sogno», una «scommessa» per scongiurare la fine dei giornal(on)i di carta, che nel paese che li ha resi universali, stanno tutti in cattive acque – tranne l’unico quotidiano mainstream che valga la pena di leggere, il «Financial Times». Sin dal suo lancio, Tortoise è stata sostenuta da David Thomson, presidente di Thomson Reuters, da Lansdowne Partners e da LocalGlobe, una megasocietà di venture capital.
Per il Gmg, si tratta di un’opportunità per turare le falle più gravi dello scafo. Significa smettere di buttare soldi per un domenicale che leggono sempre in meno. Ma per essere una start-up la stessa Tortoise è abbastanza …down: ha infatti una perdita operativa annua di 4,6 milioni di sterline, in aumento di 1,5 milioni rispetto all’anno precedente. E nemmeno il suo acquirente se la passa granché: con la copiosa perdita di 21 milioni di sterline, lo stesso Gmg è il fanalino di coda dei quotidiani britannici, capitanati quanto a vendite dall’esiziale «Sun», altro gingillo di Murdoch (assieme al «Times», «Wall Street Journal», et al.).
Anch’esso anelante ad eguagliare l’interessante noia degli interminabili e sovente inconcludenti pezzi del «New Yorker», Tortoise, (tartaruga, understand?) ambisce a fare soldi senza precipitare nel gossip/storie di cani e gatti/veline atlantiste e non che – spesso in quest’ordine – infestano i giornali occidentali, i quali, come un eroico ammiraglio imperiale, affondano facendo il saluto militare e mantenendo patriotticamente la barra al centro. È l’ecosistema ideale del borghesotto sessantenne moderatamente abbiente, di buoni sentimenti, civilmente illuminato, economicamente gretto – lo stesso che legge la triade «Repubblica»/«Le Monde»/«El Pais». E il «Guardian», naturalmente e, fino a poco fa, l’«Observer» medesimo. Questa crociata del long (boring) form sembra interessare naturalmente anche le destre. Il rivale di Tortoise, «Unherd» – l’unico luogo dove sia dato leggere qualcosa di vagamente stimolante da parte dell’insularità britannica di destra – totalizza sei volte più visite ed ha recentemente comprato il vetusto «Spectator» – sbavante ricettacolo settimanale di toryismo hardcore – per cento milioni di sterline.
MA TORNANDO all’osservatore: i suoi tempi duri, un tempo erano d’oro: sotto la direzione di David Astor negli anni Cinquanta, il giornale si situava in bilico fra destra Tory e il centrosinistra Labour e si distingueva per una copertura «coraggiosa» delle nefandezze (post)coloniali del Paese da digerire assieme al Sunday roast. Non a caso, il figlio degenere di un funzionario imperiale George Orwell ne era lettore ed estimatore. Negli anni Ottanta era letto da quasi un milione di persone, adesso le cifre della circolazione sono sotto un mesto riserbo. L’afflato liberal-e del giornale negli ultimi anni è finito nella morta gora degli articoli anti-Corbyn di Nick Cohen (poi cacciato per storie di molestie) e Andrew Rawnsley, due editorialisti distintisi nel silurare l’unica chance del partito laburista di emanciparsi dal suo appiccicoso e stantio imperialismo monarchico e aedi del bovino centrismo atlantista. Se l’estro di Cohen, solito ex piromane convertito in pompiere, ne salvava i pezzi, Rawnlsey, il commentatore politico principale, sembra l’ufficio stampa di Keir Starmer e ha sudato freddo come tutti i liberali (C.P. Scott, il fondatore del «Guardian» era ovviamente un liberale) quando il succitato Corbyn stava per rivoltare i laburisti come un pedalino.
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