«Il green batte il Covid»
Intervista La crisi sanitaria, le sfide ambientali e le politiche europee. Intervista a Barbara Mariani dell’European Environmental Bureau, un network che raggruppa 160 organizzazioni ambientaliste in 35 paesi
Intervista La crisi sanitaria, le sfide ambientali e le politiche europee. Intervista a Barbara Mariani dell’European Environmental Bureau, un network che raggruppa 160 organizzazioni ambientaliste in 35 paesi
Il virus ci ha dimostrato che le risorse economiche possono essere trovate in un’emergenza. Certo, non potranno essere spese con la logica del business as usual, ma per rendere migliore e più sicuro il mondo in cui viviamo». Come spendere i trilioni di euro di cui si parla a proposito delle politiche economiche post-Covic-19? Ne abbiamo parlato con Barbara Mariani, responsabile delle politiche per il clima e l’energia dell’European Environmental Bureau (EEB), il network europeo che raggruppa 160 organizzazioni ambientaliste in 35 paesi europei.
La pandemia di Coronavirus è una minaccia per la politica del Green Deal europeo oppure potrebbe trasformarsi in un’opportunità per accelerare la transizione verso la decarbonizzazione?
La crisi sanitaria attuale non rappresenta né un’opportunità, né una minaccia per il Green Deal. È una tragedia umanitaria e va trattata come tale, con urgenza e risoluzione. Ciò che tutti stiamo notando in questi giorni è che il mondo di cui facciamo parte è fragile e che un futuro migliore è necessario – queste sono le premesse del Green Deal. Stiamo imparando che non possiamo dare per scontato il nostro stile di vita e la nostra sicurezza. Tutti dobbiamo poter godere di aria e acqua puliti, di cibo migliore e di un ambiente protetto e sicuro. Lavorare con – piuttosto che contro – la natura, ci renderà tutti più resilienti e preparati. Pertanto, il Green Deal europeo servirà a delineare un’impronta verde per la nostra economia ed è questa la direzione verso cui orientare gli interventi economici post-Covid-19 in tutta Europa. Per ora, la Commissione Europea sembra essere consapevole di ciò e la sua strategia finora è stata quella di continuare nella direzione intrapresa a inizio anno. Ci auguriamo che le promesse siano mantenute.
Un maxi-salvataggio delle compagnie aeree potrebbe drenare enormi flussi di denaro pubblico verso un settore molto inquinante. Quali condizioni si potrebbero porre per contemperare anche priorità ambientali e sociali?
È necessaria una premessa: le compagnie aeree godono già di enormi agevolazioni fiscali e sono anni che fanno pressione contro qualsiasi forma di tassazione energetica. In questo senso, anche se indirettamente, i cittadini europei pagano già di tasca loro per il sostegno di queste compagnie. Ogni euro che queste compagnie non pagano in tasse, è un euro tolto a servizi pubblici necessari, quali la sanità o le politiche per il lavoro. Non si può chiedere ai cittadini di pagare due volte. Qualsiasi aiuto economico dovrà richiedere come condizione alle compagnie aeree il pagamento delle tasse sul kerosene e un maggiore contributo nella riduzione dei gas a effetto serra.
Le conferenze sul clima (COP 26) e quella sulla biodiversità (COP 15) sono state rinviate al prossimo anno, e anche la strategia europea per il cibo e l’agricoltura Farm-to-Fork (dalla fattoria alla forchetta) verrà posticipata. Questi slittamenti comportano dei rischi? I governi potrebbero comunque darsi degli obiettivi…
Per quanto riguarda le conferenze internazionali, riteniamo che lo slittamento sia doveroso. Non ci sembra il caso di riunire persone da tutto il mondo in un momento del genere. Magari si sarebbe potuta organizzare una tele-conferenza, ma sarebbe stata una situazione del tutto nuova a cui molti non sarebbero preparati. Tuttavia, il lavoro a livello nazionale ed europeo deve continuare. Non abbiamo bisogno di una conferenza per adottare obiettivi di riduzione di emissioni più ambiziosi a livello europeo in vista del 2030 – questa deve essere una priorità per i paesi europei, cosi che l’Ue potrà mantenere una leadership e premere per maggiori sforzi multilaterali alla COP26 il prossimo anno. Per quanto riguarda la strategia Farm-to-Fork, il discorso è diverso. Siamo d’accordo che alcuni ritardi sono inevitabili, ma ritardare la pubblicazione della strategia per motivi politici è inaccettabile. La Farm-to-Fork è stata pensata per creare le condizioni per un sistema di produzione di cibo che sia sostenibile e che soddisfi il fabbisogno della popolazione, che è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento. Se continuiamo a distruggere la terra tramite l’agricoltura intensiva, molto presto non ci sarà più terra su cui coltivare cibo a sufficienza per la popolazione in crescita.
Il prezzo del petrolio non è mai stato così basso e probabilmente lo rimarrà a lungo: potrebbe essere questo il momento giusto per tagliare i sussidi ai combustibili fossili e introdurre una Carbon Tax europea? C’è il rischio che il picco del petrolio venga spostato in avanti?
Sono anni che chiediamo la fine dei sussidi ai combustibili fossili, che ostacolano la transizione verso un’economia a zero emissioni di carbonio, che è l’unica possibilità di evitare l’aumento della temperatura globale al di sopra di 1.5 C° e di permettere che la vita sul pianeta continui ad essere compatibile con quella umana. La dipendenza dalle importazioni energetiche di combustibili fossili non solo crea volatilità in congiunture economiche come quella che stiamo vivendo, ma rallenta il processo di decarbonizzazione. Questo è il momento di affrontare entrambi i problemi e di investire in modo massiccio nelle fonti rinnovabili.
In seguito al lockdown, alcune case automobilistiche hanno chiesto alle Ue di rivedere i limiti alle emissioni, in Italia si è chiesto di togliere la plastic tax che sarebbe entrata in vigore in luglio. Sono richieste giustificate?
Queste sono richieste inaccettabili. La crisi che stiamo vivendo dimostra l’urgenza di andare alla radice del problema. Non solo non dobbiamo tornare indietro, ma dobbiamo rafforzare gli sforzi per trasformare la nostra economia in un sistema sostenibile. Fortunatamente, non sono soltanto gli ambientalisti a pensarlo. Alcune grandi case automobilistiche, come Volkswagen, BMW e Mercedes-Benz sembra che abbiano preso le distanze da certe richieste, affermando che continueranno ad impegnarsi per rispettare i limiti concordati. Le priorità per ora sono la salute e la sicurezza dei dipendenti. Dobbiamo impegnarci affinché i lavoratori non perdano il lavoro. Ma nulla vieta a queste aziende di continuare a produrre e vendere auto a zero emissioni…
La crisi climatica e ambientale rischia di essere oscurata da quella sanitaria. Nei prossimi mesi, quale ruolo potrà giocare l’opinione pubblica costretta al distanziamento sociale?
Al momento è giusto che la priorità sia data alla situazione sanitaria. Ma non dimentichiamoci che il mondo come lo conosciamo ci stava letteralmente bruciando sotto gli occhi prima che il virus facesse la sua comparsa, e che il nostro impatto sul pianeta e sulla biodiversità potrebbe aver influito sulla nascita stessa del virus e sulla nostra abilità di combatterlo efficacemente. Una cosa che ci accumuna in questi giorni è la consapevolezza che la salute è al primo posto. Quindi dobbiamo ripartire da qui, perché siamo ancora nel pieno di un’emergenza ambientale e climatica. Oggi, molte persone si stanno rendendo conto che ciò che noi ambientalisti diciamo da anni può aiutarci a costruire un mondo migliore. Principi di solidarietà, di cooperazione internazionale e di rispetto per la natura e per se stessi, devono essere i principi da cui ripartire tutti insieme. Invitiamo le persone a casa in questo momento a fare sentire la loro voce tramite social media, mentre aspettiamo per poter tornare a riempire le piazze. Confermiamo quello che abbiamo sempre sostenuto, e cioè che la salute è più importante del Pil di un paese.
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