Cultura

Il grande racconto degli alberi

Il grande racconto degli alberi

Percorsi Un insieme di silvari per immergersi nei boschi e nelle loro storie millenarie, proprio all'indomani del Natale e degli sradicamenti a tappeto

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 27 dicembre 2018

Milioni di alberelli sono stati tagliati e sradicati per finire nelle case delle famiglie di mezzo mondo. Alcuni di questi poi saranno salvati, piantati, magari diverranno parte delle famiglie di adozione; altri, la maggior parte, gettati con l’arrivo della Befana. Agli alberi veri sono dedicati alcuni «silvari» – da boschi, selve – che potrete ritrovare incartati sotto questi stessi simboli festivi. Fra gli ultimi arrivati nelle librerie vanno citati sicuramente Il canto degli alberi di D. G. Haskell (Einaudi), Storia del bosco di Mauro Agnoletti (Laterza), Il Segreto dei Giganti di Bruno D’Amicis e Umberto Esposito (Edizioni del Parco).

HASKELL È UN BIOLOGO e autore inglese pluripremiato, in Italia Einaudi aveva già pubblicato La foresta nascosta di cui Il canto degli alberi. Storia dei grandi connettori naturali è un proseguimento, un approfondimento, ovvero un esempio di quel che è diventata la scrittura naturalistica: un piede nella conoscenza, un piede nella fantasia, una scrittura elegante e precisa ma non dimeno visuale, ispirata, coinvolta e coinvolgente. Si sgranano i ricordi, le citazioni letterarie e poetiche, le epifanie quotidiane, inseguendo o forse sarebbe meglio dire tracciando con inchiostro le storie di alcuni alberi, alcune specie, quali il pioppo americano, l’ulivo, la sequoia, il pino giallo, il frassino verde, il nocciolo e così via.

IL SAGGIO DI AGNOLETTI, docente di storia del paesaggio e dell’ambiente all’Università di Firenze, è dedicato al paesaggio forestale italiano. L’autore dialoga col lettore attraverso la sua solida cultura, seguendo quel percorso che già altri saggi hanno in questi anni approfondito: la domesticazione del paesaggio naturale, le entità dei boschi e delle selve ai tempi dei romani, quindi la differenziazione dei boschi disponibili – boschi da marina, da pascolo, arborati, da legname nelle alpi orientali, la selvicoltura monastica, la civiltà del castagno con osservazioni che raggiungono queste nostre stagioni. I titoli di Haskell e Agnoletti sono dunque testi alternativi, per impostazione e stile.

IL TERZO VOLUME, Il Segreto dei Giganti, è anzitutto fotografico. Dunque, una perfetta strenna natalizia. Ora, la bellezza di un libro fotografico dedicato a una valle, a una riserva, a un giardino, sta nel cogliere esattamente quel che vi sta capitando ora – in questo giorno, in questa stagione, questo anno – ma allo stesso tempo ci racconta di fatti e leggi che si verificavano e operavano qui mille anni orsono, e che forse vi si manifesteranno nuovamente fra altrettanto tempo.

Oggi gli arboricoltori-conferenzieri amano ripetere che gli alberi sono «eterni», poiché ragionano per specie e per gruppo e mai singolarmente, e d’altronde occupano la superficie del pianeta da quasi quattrocento milioni di anni. Ovviamente si tratta di un’eternità piccola piccola, scarsa, rispetto all’eternità che supera il tempo, la nascita del pianeta, della galassia, del cosmo, ma è una vastità nella quale anche noi ci siamo evoluti fino a poter costruire città di decine di milioni di abitanti, grattacieli che bucano le nuvole, viaggi spaziali, e, finanche, a comporre meraviglie come Il Corano, la Divina Commedia, il Mahabharata, Genji monogatari e Moby Dick. Per non parlare della musica, dell’arte, della medicina. Il Segreto (esse maiuscola) dei Giganti (gi maiuscola) porta come sottotitolo Le faggete più antiche d’Europa nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.

NAVIGANDO nella prefazione di Hans D. Knapp, segretario della Rete delle Foreste di Faggio Europee (l’avevate mai sentita? Eppure), si viene a sapere che due terzi dell’estensione dei 50mila ettari del parco sono coperti da faggi, fatto che in effetti non avremmo mai stimato. Oppure che il più vasto stock di faggete primigenie / primordiali, ovvero antecedenti all’azione dell’uomo, si trova sui Carpazi Ucraini. E ancora che attualmente esiste nel continente una rete di settantotto foreste di faggio protette, per un’estensione totale di 92mila ettari su dodici paesi.

Le faggete italiane sono entrate a far parte del patrimonio Unesco nel 2017, le festeggiammo tutti. Di quel nucleo cinque si trovano nei confini del Parco Nazionale d’Abruzzo, e precisamente in Val Cervara (Villavallelonga), Val Fondillo (fra Opi e Civitella Alfadena), a Coppo del Morto e a Coppo del Principe (Pescasseroli), Selva Moricento (Lecce nei Marsi). Ma abbandoniamo i testi e le nozioni per spalancare bene gli occhi e iniziare a godere della bellezza delle fotografie, che rappresentano il dono più grande del volume. La vasta selezione di scatti si muove secondo tre classi di suggestioni: la selva oscura, gli spiriti della foresta, il segreto dei giganti.

Ci si inoltra in un bosco silenzioso e innevato, le venature bianche disegnano la distribuzione delle ramificazioni, cento mani si sollevano dal basso e puntano un cielo che ci è negato. Poi il bosco si infiamma, si retrocede di un paio di mesi o forse si avanza all’anno successivo, in pieno autunno, con le chiome scure, brunite, le migliaia di faggi che ricoprono il fianco della montagna, irradiati dalla luce calda del tramonto. Pochi passi e notiamo un cervo maschio, laggiù, guardingo, al centro di una radura, un piccolo pianoro, facciamo attenzione a non disturbarlo. Prima ancora di vederlo lo sentiamo, invece, il cinghiale, col suo fitto pelo e quel brutto muso grugnante. Le piogge solidificate appese ai rami, ovvero le colonie di lichene montano che pendono, come in un film dell’orrore. Un picchio, un dorsobianco, la testa pittata di rosso, una larva in bocca. Una femmina di allocco, adagiata su un ramo e contro un tronco, riposa, gonfia, dopo un’intensa notte di caccia. Una faggeta serpentina, coi tronchi che sono cresciuti ripiegati, a parentesi tonda, come se ne vedono anche in altre foreste d’Italia (ad esempio, il Pollino).

UN BRANCO DI CERVI abbandona il bosco ma a custodirli c’è lo sguardo fiero e per nulla rassicurante di un lupo. Un tronco abbattuto, spento, la magia delle nebbie, e ancora la neve che cade. I rapaci, l’immancabile figura dell’orso marsicano, foglie marcescenti che sono vitali per l’ecosistema dei boschi, lumache, felci brillanti, acari rossi, salamandre gialle e nere, il topo quercino, la martora, il cerbiatto, il volo acrobatico della cincia mora. Le acque d’un torrente che scorrono, mormoranti, arroccianti. La maestosità dei tronchi vetusti, spaccate, segnati, logorati, visti nel dettaglio, ravvicinati. Una volpe affonda le zampe nella neve, assorta nelle operazioni scrupolose di caccia. Quante storie in un libro da guardare.

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