Il libro di Pier Virgilio Dastoli e Roberto Santaniello, C’eravamo tanto amati. Italia, Europa e poi?, con prefazione di Romano Prodi (Università Bocconi Editore, p. 139, euro 15) pone molti interrogativi sul presente, il futuro d’Europa e al contempo descrive una mappa di risposte all’altezza dei tempi di crisi che attraversa il progetto di integrazione continentale, soprattutto nella claudicante zona-Euro, chiusa nel suo austero rigore monetarista.

Dastoli e Santaniello sono due sinceri europeisti, attenti osservatori delle vicende continentali ed entrambi presenti nel vivo delle istituzioni europee: dagli anni passati come collaboratori al Parlamento europeo, alla più recente esperienza presso la Rappresentanza in Italia della Commissione europea. È questa lunga, comune militanza sul fronte dell’integrazione sovranazionale quella che spinge a rilanciare ulteriormente in avanti un discorso pubblico che tenga insieme «Europa comune» con estensione dei diritti, ampliamento dei processi democratici, previsione di politiche sociali improntate a princìpi di giustizia ed equità, in favore delle persone e non delle istituzioni parassitarie del capitalismo finanziario.

L’articolazione del libro permette di rileggere criticamente l’ultimo trentennio di vicende continentali, aprendo prospettive sull’immediato futuro.

La prima parte ha infatti il pregio di presentare una rapida, analitica e a tratti aspramente polemica ricostruzione del «ventennio europeo», da Maastricht al Trattato di Lisbona, passando per Nizza e l’agognata adozione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nel suo affermare l’universalismo e l’indivisibilità di diritti post-nazionali. Qui si sente, potente, la tensione federalistica che anima la passione europeista di Dastoli e Santaniello, i quali non fanno sconti alla pochezza delle classi dirigenti nazionali, sovrane di quel circuito intergovernativo che ha bloccato una reale integrazione politica e sociale dell’Unione europea, portando al paradosso di una moneta comune con cessione di sovranità monetaria, mentre le politiche economiche, fiscali e di bilancio rimangono ostaggio dei governi nazionali. È il pericoloso stallo dell’Unione economica e monetaria.
Per combattere questi fallimenti Dastoli e Santaniello auspicano la prossima riapertura del «cantiere dell’Unione europea», evidenziando subito quattro aporie dei «lavori» che vi si dovrebbero compiere. Quale progetto architettonico? Quali ditte ci lavoreranno? Quanto durerà? Quali saranno i soggetti che abiteranno i nuovi spazi continentali? Ecco le domande scomode, nascoste dietro la metafora da ingegneria costituzionale, che muovono la parte finale del libro. Gli autori temono che il «cantiere» sia vittima delle paure e del pessimismo che anima l’insopportabile status quo europeo. Sono consapevoli che le gelosie nazionali, insieme con il populismo euro-scettico, potrebbero nuovamente bloccare l’integrazione politica continentale, rimanendo tutti vittime dell’austera recessione continentale. Riprendendo lo storico allarme di Altiero Spinelli (del quale Dastoli è stato assistente parlamentare dal 1977 al 1986) si rischia ancora una volta «l’impotenza europea del metodo confederale, per sua natura inefficace, lento, inadeguato e senza garanzia di continuità, paralitico e paralizzante».
Così Dastoli e Santaniello sperano nel ruolo da protagonista che l’Italia potrebbe svolgere nei prossimi mesi, memore di una nobile tradizione europeista, che va dallo stesso Altiero Spinelli ad Emma Bonino, passando per quel Romano Prodi che, proprio nell’introduzione al libro, reclama l’apporto decisivo di vecchi e nuovi visionnaires, rivendicando la lucidità con la quale definì «stupido il Patto di Stabilità e Crescita», poiché incapace di adeguarsi ai mutamenti «delle diverse fasi del ciclo economico». Nel senso che è questo il momento per imporre delle scelte di politiche pubbliche europee anti-cicliche, rispetto all’austera recessione.

E l’Italia dovrebbe essere promotrice di una vera e propria transizione costituente europea, approfittando del semestre di presidenza dell’Unione che avrà tra luglio e dicembre 2014. È il cuore della proposta culturale, istituzionale e politica del libro, approfittando anche delle elezioni per il Parlamento europeo della primavera 2014: inaugurare un processo costituente diffuso, in grado non solo di «condurre a un unicum le quattro unioni» – bancaria, fiscale, economica e politica – ma soprattutto di realizzare l’integrazione politica e sociale a partire dal «principio secondo cui ogni cessione di sovranità richiede un rafforzamento della democrazia sopranazionale», cioè della partecipazione attiva delle cittadinanze al livello continentale.

Dastoli e Santaniello lamentano l’assenza di un movimento per l’Europa federale, altresì conoscono quell’ampio dibattito intorno alle concrete possibilità di ripensare l’Europa fuori dagli attuali fallimenti. È la discussione inaugurata da Étienne Balibar su OpenDemocracy.net e su il manifesto. È l’ipotesi di una «cooperazione rafforzata» Euro-mediterranea, con i Paesi della Primavera araba, come si propone anche nel libro. È lo spazio di mobilitazione che i movimenti europei hanno portato a Francoforte, circondando la sede della Banca Centrale europea, così come all’Alter Summit in Grecia. È insomma la convinzione che solo insieme si possa spingere per diffondere processi costituenti e federali per un’Europa politica e sociale, contro l’austera ortodossia della miseria per le persone e della rendita per il finanz-capitalismo.