Internazionale

Libia, per il governo è stato d’emergenza, attacco «lealista»

Libia Paese nel caos e truppe in stato di allerta dopo la caduta di una base aerea, conquistata da gruppi fedeli a Gheddafi

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 21 gennaio 2014

Stato d’emergenza in Libia dopo l’irruzione di gruppi armati in una base aerea nei pressi della città di Sebha, 770 km a sud della capitale del paese. Una zona teatro di scontri, nei giorni scorsi, tra le tribù Tebu e quelle di Awlad Suleiman: «Li conosciamo e li perseguiremo», ha dichiarato il portavoce del ministero della Difesa, Abderrazak a-Shebani.

A prendere il controllo della base aerea, truppe fedeli al defunto leader Muammar Gheddafi, ucciso nell’ottobre 2011, che hanno invitato tutte «le forze rivoluzionarie» a unirsi al loro esercito nel sud. Sebha è stata una delle ultime roccaforti della resistenza all’attacco Nato, nel settembre di tre anni fa. Nel corso degli anni ’90 è anche diventata punto di passaggio per i migranti che cercano di attraversare il deserto del Sahara per raggiungere la Libia o l’Europa.

Tutta la Libia è nel caos. Vicino al campo petrolifero di Sarir, uno dei più importanti del paese, nel sud della Cirenaica, tre soldati del nuovo esercito libico sono stati uccisi nel corso di un attacco a un camion di rifornimenti. E a Derna, seconda città della Cirenaica (che si è autoproclamata indipendente a giugno del 2013) sono stati rapiti i due operai calabresi Francesco Scalise e Luciano Gallo. Lavoravano alla costruzione di una strada per conto di una ditta di Crotone, la General World, in una zona considerata «ad alto rischio» dal consolato italiano in Libia. Di loro non si hanno notizie. Derna, a est di Bengasi, è un bastione delle milizie islamiche radicali, che contendono il controllo del territorio alla malavita.

Truppe gheddafiane in azione anche a Bengasi. I combattimenti infuriano intorno alla guarnigione 147, attaccata da uomini armati e mascherati che tentano di impadronirsi dell’arsenale militare. In uno dei luoghi più frequentati della città, ha perso la vita un colonnello, e altri tre militari sono rimasti feriti nel tentativo di disinnescare una bomba.
Dal mortale assalto al consolato Usa, l’11 settembre 2012, Bengasi è teatro di una serie di omicidi di ufficiali dell’esercito o della polizia. Il vaso di Pandora, scoperchiato dalla guerra Nato, ha liberato vecchi e nuovi demoni. Secondo un’inchiesta del New York Times, l’assalto al consolato Usa – in barba al controllo Cia – è stato condotto proprio da coloro che hanno beneficiato dell’appoggio Nato: nello specifico da Ahmed Abu Khattala, capo di una milizia anti Gheddafi, furioso per aver perso il controllo di Bengasi.

Nella Libia smembrata e in preda alla violenza, miliziani e membri delle diverse tribù si contendono il controllo dei principali porti di esportazione del petrolio. Solo da una decina di giorni è ripreso l’accesso a Melittah, uno dei più grandi centri di sfruttamento del gas (in cui è presente l’Eni), a lungo paralizzato da manifestazioni berbere.
A Tripoli è stato sequestrato un diplomatico sudcoreano. In una sessione straordinaria, l’Assemblea generale del congresso nazionale della Libia, la più alta autorità del paese, ha deciso di decretare lo stato d’emergenza.

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