Europa

Il governo spagnolo dice sì al «reddito minimo vitale»

Il governo spagnolo dice sì al «reddito minimo vitale»Il presidente spagnolo Sanchez con il vicepresidente Pablo Iglesias, leader di Unidas Podemos

Via libera dal Consiglio dei ministri Iglesias: «Non c’è libertà se si deve dedicare tutta l’energia a sopravvivere»

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 30 maggio 2020

Il consiglio dei ministri ieri ha approvato una misura storica: la Spagna da oggi dispone di uno strumento pensato esplicitamente per redistribuire la ricchezza e combattere la povertà estrema, permettendo l’inclusione sociale di chi se ne beneficerà, come ha detto il ministro della previdenza sociale, il socialista José Luís Escrivá. Il «reddito minimo vitale» era una delle misure più importanti nel programma del governo rosso-viola, e la crisi pandemica ne ha accelerato l’introduzione. Podemos, che di questa misura aveva fatto una bandiera, gongolava. Il vicepresidente del governo Pablo Iglesias ha definito questa misura un «grande passo in avanti nei diritti sociali». «Non c’è libertà se una persona deve dedicare tutta l’energia a sopravvivere e non a vivere. Non c’è libertà se non si arriva a fine mese», ha detto Iglesias in conferenza stampa dopo il cdm con la ministra delle finanze María Jesús Montero.

La misura costerà alle finanze pubbliche 3 miliardi e l’obiettivo è raggiungere 850mila famiglie, formate da 2,3 milioni di persone. La quantità del sussidio dipenderà dal reddito delle famiglie. L’idea è che le famiglie devono disporre di un minimo che sarà compreso fra i 5.500 euro annuali (460 euro al mese) per una persona sola e i 12.100 per due adulti e tre bambini (e altri tipi di famiglie: il governo ne ha identificate 14). Il governo pagherà la quantità necessaria per raggiungere queste soglie. Sembra poco, ma l’esecutivo ha calcolato che nella metà di quelle 850mila case oggi non entrano neppure 310 euro (contro la media spagnola di 1230 per famiglia).

Uno degli scogli più importanti per l’adozione di questa misura erano i sussidi che le 17 comunità autonome assegnavano già alle famiglie povere: queste però raggiungevano solo 300mila famiglie, un terzo di quello a cui aspira il governo, e in maniera molto diseguale. Nei paesi baschi arrivavano al 70% delle famiglie a rischio povertà, ma la media spagnola è solo del 7.6%. E la Spagna è il secondo paese in Europa per tasso di povertà delle famiglie con figli e monogenitoriali (9 su 10 sono madri), la tipologia di famiglie per le quali è specialmente pensata la misura (quasi la metà di queste sono sotto la soglia di povertà). In ogni caso, questi sussidi regionali non conteranno per la determinazione del reddito e ciascun governo locale potrà mantenerli.

I beneficiari dovranno avere fra i 23 (18 se con figli a carico) e i 65 anni e potranno anche essere migranti, se residenti da almeno un anno nel paese. Si farà un’eccezione per includere anche le donne vittime di tratta o violenza di genere. 100mila di queste famiglie riceveranno automaticamente il sussidio a giugno: il governo le ha già identificate. Le altre dovranno farne domanda e il governo per la prima volta valuterà anche il patrimonio delle famiglie (meno la casa di residenza). Potranno accedere al sussidio anche le famiglie il cui reddito, pure essendo nel 2019 superiore alla soglia, è crollato durante quest’anno.

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