«Se il governo non prorogasse il blocco dei licenziamenti sino a fine anno si assumerebbe tutta la responsabilità dello scontro sociale»: è la posizione di Cgil Cisl e Uil. Cosa può succedere se si lascia un varco aperto ai licenziamenti a partire da ottobre lo spiega Barbara Tibaldi, componente della segretaria nazionale Fiom Cgil e responsabile del settore elettrodomestico.

Quale potrebbe essere, ad esempio, l’impatto alla Whirlpool di Napoli?
La multinazionale Usa ha confermato il 31 luglio che intende chiudere lo stabilimento di via Argine a fine ottobre. Senza il blocco delle uscite si apre la procedura e senza un nuovo progetto, finiti gli ammortizzatori sociali, 340 operai si ritroveranno senza lavoro. Con lo stop fino al 31 dicembre diventa più difficile per l’azienda resistere alle pressioni di governo e sindacati soprattutto se, come pensiamo, i dati del mercato certificheranno una ripresa, anche in vista dei finanziamenti che innescherà il Recovery fund. Il blocco dei licenziamenti serve a dare tempo per arrivare ai fondi europei, in modo da limitare l’impatto della crisi sul tessuto industriale.

In prefettura a Torino ieri c’è stato un tavolo sull’ex Embraco. Una reindustrializzazione voluta da Whirlpool di cui il tribunale ha certificato il fallimento.
La multinazionale nel 2018 comunicò che entro 30 giorni avrebbe chiuso la fabbrica e che aveva individuato una società italo israeliana che sarebbe subentrata, Ventures srl. È finita con i lavoratori che hanno fatto un esposto in procura e i pm che indagano per bancarotta distrattiva. In prefettura il ministero del Lavoro e quello dello Sviluppo hanno promesso la cassa integrazione per cessazione attività e la cassa integrazione per Covid per i 407 dipendenti, Invitalia si è presentato senza un nuovo progetto. Whirlpool, che è la prima responsabile di questa crisi avendo spostato la produzione a est e individuato i compratori, è disposta a lasciare per la reindustrializzazione e per gli esodi volontari i fondi avanzati alle ruberie, 9 milioni di euro. Scaricando così ogni problema.

Cosa succederà alla Whirlpool di Napoli?
L’azienda il 31 luglio ha spiegato che il mercato va male causa Covid, che prevedono una ripresa nel 2021 ma comunque chiudono il sito partenopeo. Invitalia si è presentata con il piano B fatto di tanti progetti, anche di imprese solide: ciascuna avrebbe assorbito 20, 30 o 40 dipendenti. Non c’è nessun piano di sviluppo a lungo termine dietro una proposta strutturata in questo modo. Così torniamo al modello degli incubatori di impresa anni Novanta. Il governo deve ottenere il rispetto degli accordi del 2018, la produzione di lavatrici deve restare a Napoli. Se il sito è in perdita è perché satura le linee solo al 40%, ci vogliono progetti nuovi. Il governo è in grado di mettere sul tavolo almeno 60 milioni di aiuti più la fiscalità di vantaggio, con il taglio del 30% del costo del lavoro per le aziende che operano al Sud, proposto dal ministro per il Mezzogiorno Provenzano. Lo stato deve entrare nel progetto con un ruolo fattivo. Basta regali ai banditi delle false reindustrializzazioni.

Cosa dovrebbe fare il governo?
Innanzitutto dovremmo stabilire qual è il suo ruolo. Non è una banca che finanzia le multinazionali o le grandi imprese e neppure un’agenzia per l’impiego al servizio delle piccole realtà del territorio. Deve piuttosto normare il rapporto con le realtà che finanzia, controllare come queste utilizzano i fondi. Ad esempio, entrare nel progetto per rafforzare il piano industriale o utilizzare le multe come in Francia. Oppure politiche protezionistiche come negli Usa dove, se vai via, non ti puoi portare il marchio. Invece l’Italia i marchi del settore elettrodomestico li ha svenduti alle imprese estere che, se poi decidono di delocalizzare, non hanno problemi a trovare qualche amico che fa il lavoro sporco.