Almeno uno dei tre «golpisti», anche a voler accettare la provocazione per palati forti, è fuori luogo. Per protestare contro la decisione di non far partire le commissioni parlamentari – decisione confermata ieri sia alla camera che al senato – Beppe Grillo ha pubblicato sul sito un fotomontaggio con Monti, Bersani e Berlusconi nei panni dei colonnelli greci. Solo che i gruppi montiani adesso sostengono, con i grillini, il via libera alle commissioni, bloccate invece dal Pdl e dal Pd (che però comincia a ripensarci, come vedremo). Certo, Monti guida da cento giorni e attraverso due legislature un governo che non ha la fiducia del parlamento, ma questo non è Grillo a poterlo denunciare, avendo al contrario esaltato la «prorogatio». E così la sua strillatissima denuncia del «golpe alla luce del sole» che ha ridotto «il parlamento in coma» ha il difetto di provenire da chi ha messo tra parentesi il potere più forte del parlamento, quello di far nascere, con la fiducia, il governo.

Nel frattempo ieri sera senatori e deputati grillini sono rimasti nelle aule vuote a leggere Costituzione e regolamenti. L’happening dall’aula del senato senza microfoni né wi-fi è stato avventurosamente trasmesso in streaming, insieme alla solidarietà che un piccolo gruppo di militanti romani a 5 stelle ha portato agli «occupanti» in piazza Montecitorio.

Di fronte all’insistenza grillina, il no tecnico alla formazione delle 14 commissioni permanenti che Pd e Pdl hanno continuato a opporre ieri mattina comincia però a scivolare verso un sì politico. Solo i berlusconiani restano granitici, nel Pd sono ormai molte e trasversali alle correnti le voci di chi vuole far partire i lavori parlamentari. Al punto che i democratici per cercare di allontanare le accuse di ostruzionismo annunceranno oggi i nomi dei prescelti dei gruppi per ogni commissione. E per ogni evenienza. Resta il problema dell’elezione dei presidenti, che giocoforza è conseguente alla formazione di una maggioranza e di un’opposizione, dunque di un governo. Si fa strada però la soluzione che Sel per prima aveva individuato: presidenze provvisorie affidate ai commissari più anziani, come nel caso della prima seduta delle camere (segretari di conseguenza i più giovani).

Il problema è urgente, visto che nell’attesa della combinazione Quirinale-palazzo Chigi cui sono affidate le speranze di sopravvivenza della legislatura, i problemi pratici si accumulano. Così ieri la camera ha dovuto votare l’ampliamento dei poteri della commissione speciale, l’unica a essere costituita, che dovrà per ciò occuparsi anche di lotterie e finanziamenti alla cultura. Ma dietro l’angolo c’è un ostacolo più grande.
Succede infatti che per la brutta abitudine di candidare al parlamento i consiglieri regionali, gli assessori e anche i presidenti delle giunte, incompatibili per Costituzione con il ruolo di deputato e senatore, circa una quarantina di parlamentari devono ancora essere sostituiti. Servirebbe però che la camere nominassero le giunte per le elezioni che dovrebbero ratificare le opzioni (o ordinare le decadenze), giunte che per prassi e buon senso dovrebbero essere presiedute dall’opposizione.

Il regolamento in realtà concede ai presidenti delle camere di nominare direttamente i componenti delle giunte, ma Boldrini e Grasso hanno fin qui soprasseduto perché si tratta di scelte definitive, non modificabili per tutta la legislatura, dunque assai impegnative al netto delle valutazioni politiche dei gruppi. A questo punto però, con l’elezione del presidente della Repubblica che si avvicina, le camere in seduta comune rischiano di ritrovarsi con un bel po’ di «grandi elettori» abusivi. E allora ieri il senato ha affidato la soluzione del rebus alla giunta del regolamento (dieci componenti scelti da Grasso) e la camera lo farà domani. Nel frattempo gli incompatibili che abbandoneranno le aule parlamentari (come Cota, che ha rinunciato al seggio per restare presidente del Piemonte, o Vendola che ha annunciato identica scelta in Puglia) otterranno garanzia dai presidenti per un rapido turn over, in modo da non lasciare i gruppi scoperti.

Un punto a favore dei parlamentari «occupanti» a 5 stelle. Ai quali, però, Boldrini e Grasso a fine serata hanno tirato le orecchie: «Le aule parlamentari sono il luogo del confronto democratico e della trasparenza. E il dialogo è sempre più utile del monologo, anche quando l’oggetto della declamazione solitaria è la Carta fondamentale della nostra Repubblica».