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Il governo estrattivista vuole riaprire i siti minerari

Il governo estrattivista vuole riaprire i siti minerari

Cave e miniere non sono un argomento del passato. In Italia quelle autorizzate sono 4.168 sparse su 1.667 comuni in tutta la penisola. Uno su cinque. Si estrae un po’ […]

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 14 dicembre 2023

Cave e miniere non sono un argomento del passato. In Italia quelle autorizzate sono 4.168 sparse su 1.667 comuni in tutta la penisola. Uno su cinque. Si estrae un po’ di tutto, da calcare e gesso fino a sabbia e ghiaia, argilla, pietre ornamentali, basalto o torba per un totale di quasi 70 milioni di metri cubi di materiali all’anno. Tra i quantitativi più alti nell’Unione Europea. E l’impatto dell’attività estrattiva potrebbe aumentare.

A MARZO L’UE HA ANNUNCIATO il Critical Raw Materials Act – un pacchetto di misure per una maggiore autarchia energetica con almeno il 10 per cento di materie prime critiche consumate estratto da cave e miniere europee – e il governo italiano ha subito colto la palla al balzo. Dopo essersi detto disposto a creare un piano minerario nazionale, a luglio il ministro delle imprese Adolfo Urso ha specificato che «possediamo 16 delle 34 materie prime critiche indicate nella lista Ue ma sono in miniere chiuse oltre 30 anni fa. Occorre investire e riattivare queste potenzialità». Si è parlato di possibili leggi speciali, utili a far iniziare entro due anni l’attività estrattiva dove presenti materie prime importanti. Anche eventualmente in luoghi incontaminati come il Parco della Beigua in Liguria dov’è stimata la presenza di 400 miliardi di euro di titanio. Oppure zinco, argento e piombo in Lombardia, litio nel Lazio o nichel e cobalto in Piemonte.

«SE SI VUOL FARE LA TANTO SOSPIRATA transizione energetica, da qualche parte i minerali vanno presi – osserva Pierfranco Lattanzi, ricercatore dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse/Cnr – e non possiamo farne a meno. È vero che l’attività estrattiva ha un impatto sul territorio e in passato miniere come quelle sull’Amiata in Toscana, dove si estraeva mercurio, hanno inquinato. Ma con la tecnologia attuale possiamo limitare al massimo i danni».

A PREOCCUPARE ALCUNI STUDIOSI, il modello estrattivista che si insedierebbe insieme al rilancio di cave e miniere. «Porta all’utilizzazione intensiva di un territorio – chiosa Maura Benegiamo, ricercatrice dell’Università di Pisa – e alla sua mono funzionalizzazione, convertendolo in funzione dell’estrazione di un minerale. C’è una perdita di sovranità, di filiere produttive e un forte impatto ambientale come si vede in Sud America. È una visione dello sviluppo a respiro molto corto visto che poi il minerale utile al mercato può variare. E non è in grado di produrre un effetto redistributivo verso il basso».

SE IL GOVERNO PENSA DI RILANCIARE l’attività estrattiva, va detto che la situazione attuale di cave e miniere non è senza problemi. Tante regioni, circa un quarto, sono senza un piano cave, utile anche per il canone delle concessioni. In Piemonte, dove sono presenti 345 cave, il nuovo piano regionale delle attività estrattive (Prae) non ancora approvato è stato fatto un anno fa. «Uno scempio ambientale – dice Domenico Rossi, primo firmatario della legge regionale sulle cave del 2016 e segretario piemontese del Partito Democratico – dove si permette di estrarre nei prossimi 10 anni il triplo di quanto si fa oggi: da 96 a 306 milioni di metri cubi. Si rischia di finire le risorse e i sindaci non potranno decidere per il loro territorio».

COME HANNO RISCHIATO DI NON DECIDERE gli abitanti di Druento, in provincia di Torino. «Casualmente un gruppo di cittadini ha scoperto che all’interno del Prae – spiega Nicoletta Alby del comitato No Cava Misterletta Cortese Balmera – era prevista la realizzazione di una cava di argilla in un’area incontaminata tra le più belle del territorio, vicina al Parco della Mandria. Avrebbe stravolto territorio ed economia. Siamo riusciti a opporci e sembrerebbe che non si farà».

COME TANTI ALTRI COMITATI DI ZONE di cava e miniere in Italia, ad opporsi avevano provato anche gli abitanti di Albarola, in provincia di Piacenza. Qui si estrae la marna, una roccia usata nell’edilizia. «Qui si estrae da un secolo – precisa Mauro Marchionni, presidente del Comitato Difesa Ambientale Valnure – e portano via tra le 5 e le 600 mila tonnellate l’anno di marna cementizia ogni anno. Quasi il peso del Duomo di Milano. Stanno abbattendo colline, c’è una voragine non più colmabile e passano più di 100 camion al giorno. Abbiamo chiesto di dare un freno a tutto questo ma nessuno ci ascolta». A peggiorare la situazione, il fatto che in generale i rientri per lo stato dalle estrazioni sono bassi. Stando al Rapporto Cave 2021 di Legambiente, poco più di 17 milioni di euro per sabbia e ghiaia di cui se ne estraggono quasi 30 milioni di metri cubi e generano un giro di affari di circa 470 milioni di euro. O poco più di 8 milioni di euro per 5 milioni e 292 mila di pietre ornamentali.

14 MILA INVECE LE CAVE E LE MINIERE abbandonate. In Puglia si era pensato di recuperare parte delle oltre 2 mila dismesse ricorrendo al Piano Laghetti, un piano di invasi per l’acqua piovana proposto dall’Associazione Nazionale Bonifiche Irrigazioni. Ma non è andato in porto. In Sicilia invece sono un problema. «Ci sono 178 cave chiuse e altre 42 in istruttoria per la chiusura – dice Paolo D’Anca segretario della Filca Cisl Sicilia – un problema per occupazione e ambiente visto che non vengono recuperate. E tante delle 420 cave in attività sono finite sotto sequestro per infiltrazioni mafiose mettendo i lavoratori a rischio».

LA PRESENZA DI MINERALI come l’allanite, contenente terre rare, potrebbe favorire la riapertura di miniere in Sardegna. «I costi ambientali non potranno essere zero – afferma Giovanni De Giudici, professore dell’Università di Cagliari – Però le tecnologie permettono di abbatterli ed evitare uno spandimento di contaminanti come in passato». Un po’ perplesso Francesco Garau, segretario della Filctem Cgil sarda: «Potrebbe aumentare il numero di occupati anche se non ci si inventa minatori. Il problema sta nel capire quando sarebbe pronto il piano del governo e come trovare le professionalità. C’è difficoltà a trovare camerieri e baristi, figurarsi chi va sotto terra…».

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