Sono passati 90 giorni dall’insediamento del Parlamento uscito dalle elezioni politiche del 25 settembre 2022 e ancora meno dal giuramento del primo governo Meloni, e la fauna italiana è sotto un pesante attacco. Siamo di fronte ad un’azione che punta ad accogliere le istanze delle frange più retrive del mondo venatorio, da sempre supportate dalla ben più potente (anche se più mascherata) lobby dei costruttori di armi. All’interno dell’attuale maggioranza operano alcuni parlamentari che, dopo averle promesse nelle ultime campagne elettorali, stanno ora portando avanti in maniera sistematica una serie di modifiche legislative tese a scardinare le conquiste ottenute negli anni su gestione faunistica e aree naturali protette.

L’INSERIMENTO dell’emendamento del deputato Tommaso Foti di Fratelli d’Italia nella Leggedi bilancio è solo la punta dell’iceberg di quanto sta accadendo e fornisce una chiave di lettura chiara di quanto potrà avvenire. Nonostante fosse evidente la totale estraneità di un provvedimento sul controllo faunistico ad una Legge finanziaria, tanto da essere stato dichiarato inammissibile per incongruità e successivamente riammesso solo grazie all’intervento del Presidente della Camera, si è approfittato dell’occasione offerta da una legge che si sapeva sarebbe stata approvata con il voto di fiducia e che mai il Presidente dellaRepubblica avrebbe rifiutato di firmare. Si è poi presentato questo provvedimento come finalizzato a risolvere il problema della presenza di cinghiali in città, nonostante la norma introdotta non faccia alcuna distinzione tra le specie, per cui si potrà applicare a cerbiatti, orsi, lupi, tordi, gabbiani, aquile oqualsiasi altro animale si riterrà «problematico», anche all’interno di aree naturali protette o aree urbane.

E proprio la possibilità di ricorrere ai cacciatori per abbattere animali all’interno di aree urbane mostra la spregiudicatezza di chi ha votato questo provvedimento, considerato il rischio a cui si esporranno i cittadini, visto che nella sola stagione venatoria 2021/22 sono state 90 le vittime della caccia (24 morti e 66 feriti secondo i dati dell’Associazione Vittime della Caccia).

MA LA LEGGE DI BILANCIO APPROVATA a fine dicembre non contiene solo l’emendamento Foti: in un momento di tagli e sacrifici per tutto il Paese, il Parlamento ha trovato mezzo milione di euro l’anno per incrementare il fondo previsto dall’art. 24 della legge sulla caccia, un vero e proprio regalo per le associazioni venatorie che se lo dividono in proporzione alla consistenza associativa. Ma pochi giorni prima dell’approvazione di queste disposizioni nella Legge di bilancio, un altro pessimo segnale era arrivato dalla Commissione Ambiente del Senato che, nell’esprimere il parere sul decreto-legge di riordino dei ministeri, ha chiesto di individuare le modalità per trasferire le funzioni statali in materia di fauna dal Ministero dell’ambiente al Ministero dell’agricoltura, quasi che la fauna possa essere trattata come un problema legato all’agricoltura e non come un elemento fondante della biodiversità e del capitale naturale del nostro Paese.

DEL RESTO, IN QUESTI POCHI MESI di legislatura sono state depositate ben 11 proposte di legge sulla materia fauna, in larga parte persino peggiori degli atti già approvati. Si va dalla proposta di conferire alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano la facoltà di adottare misure in deroga alle norme di tutela di lupi e orsi al rafforzamento del ruolo di istituti regionali al solo fine di facilitare operazioni di controllo sulle specie, fino al consentire ulteriori interventiper la riduzione della popolazionedei cinghiali.

LE PROPOSTE DI LEGGE PRESENTATE si caratterizzano, da un lato, per l’esclusivo affidamento ai cacciatori della gestione del patrimonio faunistico, dall’altro, per la rinuncia dello Stato a qualsiasi pianificazione di settore a favore di regioni e province autonome:in pratica si vuole rafforzare quel  mix «caccia/localismo» che ha portato all’aumento del numero di cinghiali che, solo a parole, si vorrebbe contrastare. Il tutto, come giustamente denunciato dalle 12 principali Associazioni scientifiche italianein occasione dell’approvazione dell’emendamento Foti, senza nessun coinvolgimento del mondo scientifico.

DEL RESTO LA CLASSE POLITICA, in un clima di perenne campagna elettorale, sembra aver totalmente rinunciato a confrontarsi con gli esperti della materia su cui legifera, preferendo agire solo per accontentare il proprio elettorato di riferimento. In questo quadro emergono chiari alcuni elementi  su cui riflettere. Sui temi della caccia e della conservazione faunistica (da verificare cosa accadrà per le aree protette, ma le premesse non sono delle migliori), l’attuale maggioranza non sembra interessata ad avere un confronto con il mondo ambientalista. Su questi temi il governo Meloni e la maggioranza che lo sostiene hanno fatto propri i programmi delle associazioni venatorie, rinunciando a qualsiasi ruolo di mediazione e sintesi tra i vari portatori d’interesse. Portatori d’interesse che, peraltro, non sarebbero neppure sullo stesso piano, considerato che la tutela della biodiversità – a differenza dell’interesse a cacciare – è tutelatodalla nostra Costituzione.

ALL’INTERNO DELL’ATTUALE maggioranza sembrano essere state totalmente silenziate le voci difformi che negli anni passati (in particolare in Forza Italia, ma non solo) erano riuscite a porre un freno alle derive filovenatorie che ora, invece, sembrano dettare la linea nella maggioranza. Il Partito Democratico, il più numeroso partito d’opposizione in Parlamento, e altre forze di minoranza come Azione/Italia Viva non sembrano interessati a contrastare efficacemente questo attacco alla fauna italiana.

UN RUOLO FONDAMENTALE in quanto sta accadendo lo svolgono le associazioni agricole, a partire dalla Coldiretti, che da anni portano avanti una campagna per lo smantellamento delle normative nazionali ed europee di tutela della fauna, diffondendo dati non verificati o verificabili come – ad esempio – il numero di cinghiali che sarebbero presenti sul territorio o la pericolosità del lupo per l’uomo. Infine, su questo tema, alla maggioranza in Parlamento non corrisponde una maggioranza nel Paese: in tutti i sondaggi gli italiani si pronunciano in larghissima misura contro la caccia e per l’aumento delle aree naturali protette.

SE L’ORIENTAMENTO FIN QUI MOSTRATO dalla maggioranza sarà confermato, è evidente che sarà necessaria una forte azione di contrasto perché è in gioco la stessa tenuta della normativa di tutela della fauna. Azione che dovrà essere a tutto campo prendendo in esame anche l’ipotesi del ricorso al referendum abrogativo. È poi paradossale che una simile impostazione si venga a consolidare mentre l’Italia sarà chiamata a dare seguito a indirizzi nazionali e sovranazionali (Strategie europee Biodiversità 2030 e Farm to Fork) che vanno della direzione della maggiore tutela. Invece di rincorrere le richieste dei cacciatori, sarebbe auspicabile che il nostro Paese, uno dei più ricchi di biodiversità del continente, si decidesse a mettere in atto politiche di tutela del proprio capitale naturale dotandosi di un Codice della Natura che semplifichi e innovi la legislazione sulla tutela della biodiversità per rispondere agli obiettivi di un’efficace Strategia Nazionale della Biodiversità. Un Codice dove dovrebbe trovare posto anche il Garante della Natura che, sul modello delle altre Authority già previste, si occupi di un bene così importante attraverso una figura capace di una visione d’insieme per sollecitare le azioni da mettere in campo da parte dei vari soggetti coinvolti nella gestione del nostro patrimonio di natura.