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Il giudice e i populismi, il congresso di Md

Il giudice e i populismi, il congresso di MdMaria Rosaria Guglielmi, segretaria uscente di Magistratura democratica

Giustizia Al via i lavori delle 22esime assise della corrente di sinistra delle toghe. La segretaria uscente Guglielmi rivendica il diritto dei magistrati ad esprimere opinioni politiche e attacca i provvedimenti del governo. Ma all'interno si discute del rapporto con Area e si rischia la rottura

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 28 febbraio 2019

Difendere i diritti dentro «l’Europa dei populismi». Questa la sfida lanciata da Magistratura democratica (Md) riunita per il suo ventiduesimo congresso da oggi fino a domenica («anteprima» al tempio sikh di Latina con Libera e Flai-Cgil, lavori veri e propri da domani a Roma). La storica corrente di sinistra delle toghe guarda oltre il cortile di casa, al continente-fortezza in cui aumentano nazionalismi e «democrazie illiberali». Dalla Polonia alla Turchia, dall’Ungheria alla Serbia, fuori e dentro l’Ue sono molti i paesi in cui governi nemici dello stato di diritto attaccano l’indipendenza dei giudici per avere le mani libere di colpire oppositori, minoranze, stranieri. E l’Italia non fa eccezione: senza raggiungere (ancora) gli estremi di Varsavia o Ankara, anche da noi sono riconoscibili le stesse pulsioni all’interno delle istituzioni, come mostrano la vicenda della nave Diciotti o la visita di Matteo Salvini all’imprenditore Angelo Peveri detenuto a Piacenza per tentato omicidio.

L’allarme per il rischio di una fatale «mutazione genetica» della nostra democrazia, lanciato dalla segretaria generale Maria Rosaria Guglielmi – nella sua relazione già resa pubblica -, è di quelli che fanno storcere il naso ai difensori della «apoliticità» delle toghe, cioè della loro subordinazione non alla legge e alla Costituzione, ma al potere politico. Non a caso c’è chi apertamente si augura la sparizione di Md come il sottosegretario alla giustizia Jacopo Morrone, leghista. La sua poltrona in via Arenula è quella che fu di Cosimo Ferri, leader della corrente di destra Magistratura indipendente (Mi), che dopo cinque anni al ministero da «tecnico» di area berlusconiana è ora deputato del Pd per volere di Renzi. Nell’attuale Csm è proprio la Mi di Ferri il gruppo più forte, insieme ai centristi di Unicost, indice che la visione «apolitica», «neutrale» e corporativa fa presa in ampi settori della magistratura.

Alle accuse di collateralismo, Md risponde che la critica ai provvedimenti governativi è nella sua storia: durante la legislatura precedente toccò a riforme costituzionali, jobs act, decreto Minniti, per esempio. Nell’aggressione ai diritti, però, ora c’è un salto di qualità rispetto al recente passato. Il decreto Salvini sui migranti è, secondo Guglielmi, il «manifesto» della messa in discussione del «fondamento egualitario e solidaristico del nostro Stato costituzionale», il ddl Pillon sull’affido condiviso dei figli uno dei segnali di «nuovo oscurantismo», e «la messa in scena organizzata dalla propaganda di stato per “celebrare” la fine della latitanza di Cesare Battisti ha trasformato la vittoria dello Stato di diritto e la chiusura di una vicenda dolorosa della nostra storia in una pagina umiliante», che rappresenta «un’idea arcaica di giustizia e un concetto primitivo della dignità umana». La maggioranza M5S-Lega esprime una visione puramente repressiva del diritto penale in cui non c’è posto per le garanzie, che, invece, per la segretaria «non sono una concessione a favore degli avversari della legalità, ma un’esigenza della giurisdizione».

Il congresso romano serve alle «toghe rosse» anche per guardarsi dentro. Il voto per il rinnovo del Csm dello scorso anno ha segnato una battuta d’arresto, gettando un’ombra sulla reale tenuta di Area, il gruppo – non più semplice «cartello» – di cui Md fa parte insieme all’altra corrente progressista, Movimento per la giustizia. Fa ancora male la mancata elezione di Rita Sanlorenzo, che gareggiava per uno dei due seggi assegnati ai magistrati di Cassazione: selezionata come gli altri attraverso primarie, numeri alla mano è risultata vittima del «fuoco amico» di una parte degli elettori di Area. E proprio il rapporto fra il gruppo storico Md e la nuova aggregazione è uno dei nodi politici del dibattito interno. Un documento firmato fra gli altri dall’ex presidente dell’Anm Eugenio Albamonte, esponente di punta della sezione capitolina dei magistrati democratici, chiede maggiore coordinamento con Area «al fine di non creare fratture interne che ne indeboliscano la capacità di azione». La segretaria, invece, e con lei la maggioranza del gruppo dirigente uscente, rifiuta limiti agli spazi di partecipazione di Md al dibattito esterno, pena la «rinuncia alla soggettività» del gruppo.

Schermaglie su procedure e questioni organizzative dietro le quali si intravedono divergenze strategiche che, in prospettiva, potrebbero rivelarsi non più componibili: nessuno è ancora uscito allo scoperto, ma non è un mistero che dentro Md vi siano fautori dello scioglimento tout court in Area nel nome del superamento delle «vecchie identità ideologiche» o del ridimensionamento di Md a fondazione culturale.

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