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Il giorno dopo Mandela, una data non a caso

Il giorno dopo Mandela, una data non a casoLa statua di Mandela inaugurata ieri a Pretoria – Reuters

Sudafrica Ieri la Rainbow Nation celebrava il "Giorno della Riconciliazione". Inaugurata mega statua di Madiba davanti al parlamento di Pretoria

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 17 dicembre 2013
Rita PlanteraCAPE TOWN

Da ieri le bandiere del Sudafrica sono tornate a sventolare alte dopo dieci giorni a mezz’asta per la morte di Nelson Mandela. Il giorno dopo i funerali di stato e la cerimonia di sepoltura in rito xhosa, è il Day of Reconciliation con cui la Rainbow Nation celebra la fine del conflitto razziale. Giorno scelto dal governo per inaugurare la statua in bronzo alta 9 metri eretta nei giardini dell’Union Buildings, sede del governo centrale, di un Madiba a braccia aperte che domina la capitale Pretoria. Un giorno non a caso per l’inaugurazione, ha spiegato lo stesso Zuma nel suo discorso, visto che Mandela è il simbolo della riconciliazione.

Chiamato Day of Covenant, Giorno dell’alleanza (con dio), durante il regime dell’apartheid – in onore della vittoria degli afrikaner su un esercito di Zulu nel 1838 nota come la battaglia di Blood River – più di un secolo dopo, il 16 dicembre del 1961 fu il giorno scelto da Mandela per lanciare la lotta armata fondando il gruppo di guerriglia Umkhonto we Sizwe (Lancia della nazione) contro il governo di segregazione della minoranza bianca. E fu ancora Mandela a ribattezzarlo Giorno della Riconciliazione una volta eletto Presidente del Sud Africa nel 1994.

Le prime pagine dei quotidiani sudafricani, da quelli nazionali a quelli locali in inglese, xhosa e zulu, ieri erano tutte per Nelson Mandela. Tra questi, «Hamba Kahle, Tata. Il lungo viaggio di Mandela finisce finalmente a Qunu» ha titolato The Mercury. «Grazie, Tata» The Witness, «Lala Kahle Tata» il Cape Times e «The full Nelson» il Mail&Guardian.

Un film muto, perché tutto intimo, ha accompagnato, talvolta inconsciamente sovrapponendosi a esso, il quotidiano dei sudafricani durante tutti i dieci giorni di commemorazione facendo da eco al fragore della folla in cammino verso l’Union Buildings e verso lo stadio di Johannesburg al grido, tra gli altri, di akekho ofana naye, «non c’è nessuno come te».

Le immagini delle manganellate a sangue durante gli anni dell’apartheid, dei lasciapassare e dei dazi dell’umiliazione per muoversi da un lato all’altro dello stesso posto, gli autobus, i bagni pubblici e le scuole a parte, il visto di soggiorno per cercare lavoro nei grossi centri urbani e ancora le morti violente e le umiliazioni, la dignità ferita e gli arresti solo per aver prestato orecchio o scambiato qualche parola con un bianco. Tutto questo è riemerso nelle menti e nella memoria di milioni in questi giorni, un urlo spietato di violenza subita, radicatasi nelle vene e nelle ossa ritornato in superficie ma allo stesso tempo un urlo di liberazione esplosi solo domenica scorsa nella consapevolezza che del leader a cui devono la fine di quell’inferno non vedranno più neanche il sorriso, nemmeno quello afono degli ultimi anni. Una consapevolezza che li ha finalmente travolti due giorni fa, il giorno della sua sepoltura, a Qunu. Mandela «se n’è veramente andato» dicono in molti. E un Sudafrica diverso, orfano di una magna presenza che faceva da scudo e da rifugio, comincia a muovere i suoi passi.

Ai funerali in mondovisione, un’altra pellicola muta si era sgranellata nei discorsi, nelle lacrime e nella fierezza della leadership dell’African national congress, dei veterani del partito e di leader africani come Joyce Banda del Malawi e Kenneth Kaunda l’ex Presidente dello Zambia, uno degli stati africani più impegnati nella lotta all’apartheid, il quale ha ribadito: «Questo grande figlio del mondo, Madiba, ci ha mostrato la via. Che voi siate bianchi, neri, gialli o marroni, siete tutti figli di Dio. Mentre procediamo senza Madiba, egli non c’è più in questa vita, ma è ancora lui Madiba il nostro leader». L’orgoglio del Sudafrica libero e quello di partito e della fierezza della coscienza nera africana.

Il XX secolo chiude la sua storia salutando l’ultimo negoziatore di pace e la voce della dignità nera che salvò la coscienza dei bianchi.

 

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