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«Il giorno della rivoluzione», con Forza Nuova e Casa Pound

«Il giorno della rivoluzione», con Forza Nuova e Casa PoundIl movimento siciliano dei Forconi

Il movimento Militanti neri, produttori e "padroncini"

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 10 dicembre 2013

«Saremo noi per primi a difenderci da eventuali infiltrati. Io per primo ho paura perché le infiltrazioni (…) non ci fanno bene, fanno un favore al sistema. Purtroppo, però, ci sono». Era stato lo stesso leader del Movimento siciliano dei Forconi, Mariano Ferro, ad ammettere che la mobilitazione del 9 dicembre correva il rischio di trasformarsi in una straordinaria vetrina per chi volesse cercare visibilità. Come l’estrema destra che cerca oggi di speculare sul malessere alimentato dalla crisi, nel tentativo di riposizionarsi in forme più radicali dopo il lungo flirt con la destra di governo berlusconiana.

Perciò, non deve sorprendere più di tanto se tra gli esiti delle manifestazioni che si sono svolte ieri in molte città, dalla Sicilia fino al Nordest, vi è anche quello di una rinnovata presenza dei neofascisti. Un dato da non enfatizzare, ma pur sempre reale.

Ultrà «neri» del calcio organizzati militarmente a Torino – anche se dai microfoni di Radio Black Out, vicina ai centri sociali, si invitava a una lettura più articolata della composizione della piazza -, militanti di Casa Pound e Forza Nuova a Roma e in altre città del centro-sud, attivisti del Movimento Sociale Europeo, sigla di comodo in realtà legata ad alcuni dirigenti del partito La Destra di Storace a bloccare qualche strada sempre nella Capitale, mentre qui e là si è visto anche qualche esponente di Fratelli d’Italia. Estremisti di destra confusi tra i manifestanti: una situazione resa possibile anche dal profilo politicamente indefinito dell’iniziativa.

«Il 9 dicembre comincia la rivoluzione!». L’appello per una serie di manifestazioni che nelle intenzioni degli organizzatori dovevano rappresentare addirittura l’inizio di una sorta di rivolta generalizzata, era stato lanciato già da qualche settimana in Rete con le firme del Movimento dei Forconi e degli imprenditori post-leghisti della Life guidati da Lucio Chiavegato, oltre ad una serie di sigle minori come degli autotrasportatori o dei Cobas del latte. Il testo diffuso dal coordinamento di «produttori» e «padroncini» metteva l’accento sul carattere trasversale della mobilitazione: «Andiamo oltre i partiti e le divisioni ideologiche (…). Chiudiamo per sempre la stagione dell’odio sociale, rinnoviamo profondamente la politica. Dal 9 dicembre iniziamo la rivoluzione».

Mentre sui social network cresceva l’attenzione intorno all’iniziativa, era però arrivato in modo esplicito anche l’appoggio delle maggiori formazioni neofasciste. Il leader di Forza Nuova Roberto Fiore aveva fatto sapere che il suo gruppo avrebbe aderito alla protesta, ma senza utilizzare i simboli dell’organizzazione. Secondo Fiore, questa mobilitazione doveva rappresentare «il primo atto di una Rivoluzione italiana che finalmente uscirà dall’orbita dei partiti». Questo, mentre un’associazione collaterale del gruppo denominata Lega della Terra, come un’omonima formazione della Germania degli anni Trenta, sosteneva apertamente la mobilitazione.

Allo stesso modo, il network di Casa Pound Italia aveva diffuso un comunicato molto chiaro in proposito: «Invitiamo i nostri iscritti, simpatizzanti, elettori e chiunque non si vergogni di definirsi italiano a sostenere attivamente senza simboli ma solo con il tricolore, le mobilitazioni». Del resto, da tempo Gabriele Adinolfi, spesso indicato come il punto di riferimento culturale del gruppo neofascista italiano che di recente ha stretto rapporti con i greci di Alba Dorata, sponsorizza una «nuova alchimia movimentista “peronista”».

E, come aveva indicato puntualmente l’Osservatorio Democratico di Milano, tra gli stessi organizzatori della giornata del 9 dicembre, figura anche Danilo Calvani, dirigente dei Comitati riuniti agricoli dell’Agro Pontino, attivi sul fronte della «lotta al signoraggio bancario», che ha spiegato come tra gli obiettivi della protesta vi fossero anche le dimissioni dell’intero Parlamento, cui far seguire «un periodo transitorio in cui lo Stato sarà guidato da una commissione retta dalle forze dell’ordine trascorso il quale si procederà a nuove votazioni». Più che una rivoluzione, un colpo di Stato.

 

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