«Il giardino è uno specchio di sé»
Manifestazioni Intervista all’etnobotanico, fotografo e designer marocchino Abderrazzak Benchaâbane, creatore nel 2011 del Musée de la Palmeraie di Marrakech, ospite d’eccezione della mostra «Floracult» che si apre oggi a Roma
Manifestazioni Intervista all’etnobotanico, fotografo e designer marocchino Abderrazzak Benchaâbane, creatore nel 2011 del Musée de la Palmeraie di Marrakech, ospite d’eccezione della mostra «Floracult» che si apre oggi a Roma
Ospite d’eccezione di FloraCult, mostra mercato di florovivaismo amatoriale promossa, ideata e organizzata da Ilaria Venturini Fendi e Antonella Fornai ai Casali del Pino, all’interno del Parco di Veio a Roma (da oggi al 28 aprile), è l’etnobotanico, fotografo, creatore di profumi, designer di giardini Abderrazzak Benchaâbane (Marrakech 1959) che sabato 27 aprile alle ore 15.00 incontrerà il pubblico.
Considera il Musée de la Palmeraie, che ha creato nel 2011 fuori Marrakech, una sorta di autoritratto. Il modo in cui convivono le diverse specie botaniche importate da luoghi lontani riflette anche i diversi lati del suo carattere?
In Marocco siamo soliti dire che il nostro lavoro è il nostro ritratto. Il giardino, dunque, è lo specchio in cui si riflette l’immagine del suo creatore. Nel mio giardino di cactus, anche se le specie non provengono dalla stessa area geografica, sono tutte piante xerofite che hanno una forte capacità di sopportare la mancanza d’acqua. In arabo le chiamiamo sabbar” ovvero pazienti, perché saggiamente sanno attendere il ritorno della pioggia. In questo sono un po’ come loro. So aspettare, sono paziente. Tutti questi cactus sono in armonia con le opere d’arte esposte nelle tre sale del museo. In questo progetto riesco a conciliare la mia passione per i cactus e quella per le arti visuali.
A Marrakech il suo nome è legato, in particolare, al Jardin Majorelle. Negli anni ’90, quando Yves Saint Laurent e Pierre Bergé la incaricarono di restaurare quel magnifico giardino, quali furono le maggiori difficoltà che dovette affrontare?
Durante il restauro del Jardin Majorelle la sfida è stata quella di continuare i lavori di restauro, che sono durati cinque anni, senza chiudere il giardino un solo giorno. Il problema era come continuare a scavare, lavorare la terra, piantare e costruire senza che questo fosse di disturbo ai visitatori. Perciò ho coinvolto il pubblico nel processo di restauro e abbiamo trasformato le nuove piantagioni in una sorta di spettacolo a cui i visitatori erano invitati a partecipare, piantando insieme ai giardinieri. C’era chi prendeva la pala e buttava la terra nelle buche, così aveva la sensazione di partecipare al restauro del giardino. Così non solo il restauro non ha disturbato nessuno, ma i visitatori erano contenti di avere il privilegio di partecipare al progetto stesso di cui potevano conservare un bel ricordo. L’altra sfida, per me, è stata quella di restare fedele allo spirito originario di Jacques Majorelle che lo aveva creato un secolo fa. Ho cercato di riprendere quel progetto consultando le numerose fotografie e fonti iconografiche che danno un’idea precisa dell’organizzazione del giardino, la disposizione delle aree piantate e dei piani d’acqua, così come la composizione botanica del giardino.
Del Jardin Majorelle ricordo la predominanza del blu in mezzo al verde. Ritiene che la componente cromatica rivesta un aspetto importante nel lavoro di un giardiniere/etnobotanico o ci sono altre priorità?
Penso che un giardino non sia soltanto un insieme di piante. La natura sa fare di meglio. Un giardino è un’opera d’arte creata dagli uomini. Si tratta di piantare delle piante, ma soprattutto di creare un’atmosfera e per farlo un paesaggista coinvolge altri mezzi espressivi, in particolare la pittura e la scultura. Jacques Majorelle ha introdotto questo blu oltremare che crea un’ambiente molto particolare. Il gioco di verde delle foglie e dei colori dei fiori su questo sfondo blu ha qualcosa di fantastico che stupisce il visitatore.
Quando Saint Laurent le chiese di creare il profumo per il bookshop del Jardin Majorelle quale fu il processo creativo e come si è evoluto fino ad arrivare alla creazione di una sua propria linea di profumi, Les Parfums du Soleil?
Nella creazione dell’eau de toilette Jardin de Majorelle per YSL, nel 2002, ho cercato di tradurre in profumo i sapori di un dessert che mia madre ci preparava spesso, l’arancia alla cannella. Ho cercato di fare degli accordi con delle essenze di agrumi – arancio amaro, limone verde, pompelmo, fiore d’arancio – che fioriscono nei giardini di Marrakech e che ho associato a delle essenze di spezie che si trovano sui banchi del suq, come chiodi di garofano, cannella ed altre. L’avventura è continuata nel 2004 con la creazione del primo profumo della mia collezione, Soir de Marrakech e da allora continua ancora. Ad oggi questa collezione conta più di una trentina di profumi.
Soir de Marrakech si può considerare una dichiarazione d’amore per la sua città natale che ospita anche il Festival Jardin’Art di cui è il fondatore?
Marrakech è il cuore di tutto il mio lavoro. Non smetto di rendere omaggio alla città che mi ha visto nascere con un profumo, un festival del giardino o un libro. È il mio modo di rinnovare ogni volta la mia dichiarazione d’amore.
La fotografia è un altro mezzo espressivo a cui affida le proprie emozioni. In particolare nel progetto Maroc Intime la scelta del bianco e nero sottolinea quella sospensione temporale con cui vengono ritratti luoghi e persone?
La fotografia è la mia scrittura con la luce. Il bianco e nero, con la sua semplicità, permette di afferrare con intensità l’anima dei luoghi e delle persone fotografate. Con questo linguaggio il fotografo va all’essenziale per toccare meglio l’anima e lo spirito dell’osservatore. Il suo linguaggio è allo stesso modo potente e poetico. È per questa ragione che ho scelto il bianco e nero per trattare dei soggetti che mi toccano, soprattutto il Marocco profondo.
Identità, relazione e armonia nella natura e nel giardino è il tema di quest’edizione di FloraCult: sono anche aspetti presenti nel suo lavoro?
Il giardino è un tutt’uno. Si fonda sull’identità e il carattere del suo creatore di cui è, in qualche modo, lo specchio su cui riflette. La riuscita di un giardino non risiede necessariamente nella rarità e nell’originalità delle piante che lo compongono o nel dispendio economico che ha permesso la sua realizzazione, ma sta nell’armonia e nell’atmosfera calmante che suscita nei suoi visitatori. I giardinieri sono dei maghi nella stessa misura in cui dei profumieri sono degli alchimisti. Il profumo non è forse un giardino in miniatura, m
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