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«Il gesto di Riyadh rivela debolezza»

«Il gesto di Riyadh rivela debolezza»Re Salman, monarca saudita – Reuters

Arabia saudita Intervista ad Ali al-Ahmed, analista saudita e fondatore del Gulf Institute: «La petromonarchia voleva risollevarsi dalla crisi ma ha peggiorato le cose. Sulla Siria è isolata, in Yemen bloccata e a poco serve fomentare lo scontro sciiti-sunniti. La parabola saudita è ormai nella sua fase discendente»

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 6 gennaio 2016

La brutalità della “giustizia” di Stato, il boicottaggio del compromesso, la benzina gettata sul fuoco mediorientale sono sintomo di una debolezza strutturale. La parabola saudita è nella sua fase discendente, la stella della Riyadh del XXI secolo è destinata a spegnersi. Ne è specchio l’esecuzione di massa di sabato: 47 giustiziati. Tra loro Nimr al-Nimr, religioso sciita leader delle proteste a Qatif. In prigione tra tre anni è stato decapitato oggi per ragioni politiche ed economiche: la zona a maggioranza sciita è la più ricca di greggio. Uccidendo al-Nimr, Riyadh manda tanti messaggi: all’Iran, all’Occidente, alla minoranza sciita.

Ne è convinto Ali al-Ahmed, noto analista saudita, consulente per Cnn, Ap e Washington Post, fondatore del Gulf Institute e voce critica delle politiche dei Saud. Lo abbiamo raggiunto al telefono a Washington.

Perché Riyadh ha proceduto proprio in questo momento all’uccisione del religioso sciita al-Nimr?

L’Arabia saudita è nei guai: aveva bisogno di segnare qualche punto per riprendersi dalla grave crisi economica che sta vivendo. Pochi giorni prima delle esecuzioni Riyadh ha reso pubblico uno dei peggiori budget della sua storia. Una crisi economica dovuta a diversi fattori: l’abbassamento del prezzo del petrolio, la corruzione strutturale che olia poteri che crescono come funghi, lo stallo nella guerra yemenita che in 10 mesi (il periodo più lungo di conflitto vissuto dal paese) ha bruciato tra gli 80 e i 100 miliardi di dollari, l’arretramento nella lotta all’Isis, l’avanzata dell’Iran, i finanziamenti a favore dell’Egitto. Togliendo la vita a quelle persone e in particolare ad una figura come Sheikh Nimr al-Nimr, i Saud speravano di mandare un messaggio: siamo ancora potenti, siamo ancora in ballo.

La percezione è che cerchino di farlo accendendo il conflitto regionale tra sunniti e sciiti, che però pare artificialmente creato proprio dalle potenze mediorientali più che dalle comunità di base.

Il confronto tra sunniti e sciiti, oggi descritto come “storico”, è solo in piccola parte frutto di una propensione della base. Al contrario è stato creato e radicato dai poteri regionali. Dall’Iran con la nascita della Repubblica Islamica e dall’Arabia Saudita che lo ha sempre sfruttato a partire dalla guerra tra Iraq e Iran e poi per dividere la regione. Oggi la usano per motivi strategici: l’economia va male, la guerra in Yemen non trova uno sbocco, il ruolo in Siria è sempre più debole. I sauditi sono maestri nel deviare l’attenzione dai problemi strutturali verso questioni “minori”. Accaparrano consenso creando la minaccia sciita e convincendo i sunniti di un pericolo fittizio.

A 20 giorni dal negoziato siriano, questa esecuzione di massa danneggerà il dialogo?

Danneggerà il ruolo saudita. Oggi tutti cercano il compromesso, tranne i sauditi che lo boicottano. Ma sono soli: gli Stati Uniti non intendono seguirli in tale radicalizzazione, né l’Unione Europea né tantomeno la Russia. Hanno dato vita ad una battaglia già persa.

Tale perdita di autorità, dovuta alla crisi economica e al ritorno in auge dell’Iran, è irrimediabile?

Riyadh ha costruito se stessa sulla base delle relazioni economiche e personali con i poteri occidentali. Questo gli ha permesso di godere dell’impunità necessaria a portare avanti certe politiche, dentro e fuori il paese. Ha speso miliardi di dollari per assumere il controllo sia di compagnie private occidentali che di singoli individui. Fa business direttamente con i poteri di questi paesi, finanziando la Fondazione Clinton, la Fondazione Carter, i membri della famiglia Bush. Gode di collegamenti diretti e strettissimi con chi guida l’Occidente. Ma la crisi cambierà tutto: i sauditi non potranno più pagare tutti, ma magari potrà farlo l’Iran, spostando l’ago della bilancia verso il proprio piatto. La stella saudita si sta spegnendo, Riyadh ha perso l’influenza che ha avuto per decenni. Un potere fondato sul libretto degli assegni di cui oggi però non ha più il monopolio. La sua capacità di influenzare la regione è in costante calo ed è difficile che risalga nel breve periodo.

Un tentativo di mostrare un volto nuovo si era avuto un mese fa: alle elezioni municipali le donne hanno votato per la prima volta. Che significato ha avuto quel voto?

Le elezioni municipali di dicembre non hanno alcun significato politico, tantomeno lo ha il voto femminile: la stragrande maggioranza della popolazione non si è recata alle urne, in molti lo hanno boicottato, tanto che ci sono stati candidati eletti con tre soli voti. Perché? La ragione sta nella totale mancanza di potere in mano ai consigli municipali. Sono elezioni farsa, si è votato per istituzioni prive di qualsiasi tipo di autorità e potere decisionale, essendo questi tutti concentrati nelle mani della famiglia reale. Perché si dovrebbe perdere tempo e energia per scegliere tra una delle tante galline del pollaio? I consigli municipali non inficiano in alcun modo nella vita quotidiana della popolazione. Quel voto è stato usato solo per una questione di immagine, per ripulirla agli occhi del mondo.

–> Read the English version of this interview at il manifesto global

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