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Il genere del limite e del desiderio

Transgender Se c’è una diversità (non una ‘differenza’) fra uomo e donna, essa è composta da un intreccio immaginario-corporeo. Ma il versante immaginario è stato manipolato per millenni, tanto da renderlo mistificante e rugginoso, e fargli perdere la sua caratteristica essenziale che è quella di essere inventivo

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 5 luglio 2019

In questi giorni, su la Repubblica, è nata una discussione molto interessante, fra due psicanalisti, Lorena Preta e Vittorio Lingiardi, su «che cosa fare con un bambino che si sente nel sesso sbagliato» e dimostra precocemente di poter diventare un futuro transgender.

Credo che il loro dissenso abbia a che fare con l’idea dell’una che il genere sia una questione psico-spirituale e dell’altro che sia invece naturale e fisiologica. Il dissenso tocca una questione dibattuta da secoli o millenni, e cioè: che cosa differenzia la donna dall’uomo?

Un bambino di 5 anni che presenta “una passione per i giochi femminili e il desiderio manifesto e persistente di travestirsi da Sailor Moon…”, insiste ad andare nel bagno delle bambine e si fa chiamare Giulietta, che cos’è? Un tragico errore della natura?

E la squadra di azzurre che calciano con entusiasmo la palla, è un altro errore? E Carola Rackete, di che genere è? Qual è, insomma, la differenza fra uomo e donna? Non certo che le bambine giocano con le bambole e i maschietti con i cannoni!

Io sono una sostenitrice della diversità fra uomo e donna, di una diversità che va oltre quella fisiologica fra maschio e femmina. Una diversità che rende legittimo credere che esista anche fra scrittura maschile e scrittura femminile, e tuttavia non credo che a rappresentarla sia sempre lo scrittore o la scrittrice del sesso corrispondente.

Spero di non sottovalutare il fenomeno, aprendolo a una discussione più vasta.

Fino a non molto tempo fa si pensava che l’omosessualità fosse una malattia e si trattavano gli omosessuali di conseguenza, in modi che arrivavano all’elettrochoc e all’internamento. La medicina è sempre invasiva, a cominciare dall’aspirina. Davvero uno psicanalista, o, diciamo, un intellettuale, può pensare di intervenire fisicamente su un bambino per assecondare il suo legittimo desiderio di sparigliare l’immaginario maschile-femminile che gli è stato proposto o imposto? Il timore che gli venga contestata una possibile scelta omosessuale deve spingere a fargliela indossare come una corazza?

Se c’è una diversità (non una ‘differenza’ che ordina gerarchicamente le parti a confronto) fra uomo e donna, essa è composta da un intreccio immaginario-corporeo.

Ma il versante immaginario è stato manipolato per millenni, tanto da renderlo mistificante e rugginoso, e fargli perdere la sua caratteristica essenziale che è quella di essere, appunto, inventivo: l’elaborazione creativa di un dato corporeo. In altre parole, una donna, per essere donna, deve inventarsi donna, a partire dal suo corpo femminile, così come un uomo si inventerà uomo a partire dal suo corpo maschile. Ma, direbbe forse Lingiardi, è proprio il corpo in questione! Ma questo bambino ha qualche malformazione? è forse ermafrodito? O lo è, legittimamente, il suo immaginario? Appena lo vediamo dubitare delle gabbie predisposte, dobbiamo subito fabbricargliene un’altra? Non possiamo lasciargli il modo di vagare liberamente dal suo corpo al suo spirito, grazie alla meravigliosa facoltà dell’immaginazione?

E aspettare che abbia l’età di decidere quali azioni vorrà intraprendere per evidenziare la sua scelta, concedendogli nel frattempo tutto l’agio possibile, e spiegandogli la differenza con quello impossibile.

Perché qui si tocca un’altra questione importantissima, che è quella del limite.

Il desiderio non si deve scontrare con un rifiuto, ma con un limite.

Questione così essenziale, così vasta, così attuale, che la lascio sospesa..

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